Mi chiamo Sammy Ghislain. Il mio nome era Fattahi: un nome musulmano. Sono nato in una famiglia musulmana. Ora sono il parroco della parrocchia S. Antonio di Padova in Calavi (Benin), che ha appena festeggiato 120 anni di fondazione. I primi evangelizzatori di questa zona sono stati i missionari della SMA.
Musulmano, non sapevo che mia mamma era cristiana
Il mio cammino vocazionale è stato molto semplice. Andavo alla moschea perché ero musulmano. Non sapevo che la mia mamma era cristiana. Era la figlia del catechista del mio villaggio. Il mio nonno paterno era invece il vice Imam del paese. I miei genitori si sono innamorati nonostante l’opposizione della famiglia di mia mamma. Il parroco ha fatto di tutto per impedire il matrimonio.
Io non frequentavo molto la famiglia della mamma. Mia nonna veniva da noi perché passava davanti alla nostra casa per andare in chiesa. Diceva: “Vado a messa”. Mi sono chiesto: “La messa cos’è?”. Ho detto a mia nonna: “Voglio seguirti per andare a messa”. Lei mi ha risposto: “No, tu non puoi, tu devi andare alla moschea”. La cosa però mi incuriosiva.
Durante le vacanze volevo andare dalla nonna sperando che la domenica mi avrebbe portato con lei alla messa. Ma lei non mi portava mai a messa. Mi lasciava a casa e dopo la messa, tornava a prendermi. Un giorno ho pianto e allora i miei genitori mi hanno lasciato andare a messa: avevo 7 anni.
Vedevo i cristiani alla messa mangiare qualcosa simile a un biscottino
Quando sono entrato in chiesa, mi sono accorto che c’erano delle differenze con le preghiere dette nella moschea. In chiesa chi dirigeva la preghiera era il sacerdote e ci guardava. Nella moschea chi dirigeva la preghiera non ci guardava. Durante la messa ho visto il sacerdote mangiare qualcosa e ho pensato che fossero dei biscotti. Al momento della comunione ho seguito la nonna perché volevo mangiare anch’io quello che il sacerdote distribuiva. Pensavo fossero dei biscottini. La nonna invece mi ha accompagnato al mio posto.
Dopo la messa le ho chiesto perché io non potevo mangiare quei biscottini. Mi ha risposto: “Non si chiamano biscottini, ma si chiama comunione e per riceverla bisogna prima fare il catechismo”. Se tu vuoi “mangiare la comunione” devi fare il catechismo. Le ho chiesto: “Come mai il sacerdote ha mangiato “uno grande” e voi avete preso dei “piccolini?”. E la nonna mi ha risposto: “Perché ha fatto un catechismo speciale”.
Le ho allora risposto: “Io preferisco fare direttamente questo catechismo, invece di fare quello per i biscottini piccoli”.
Volevo anch’io magiare l’ostia grande, come il prete
La nonna mi ha soggiunto: “Ci sono delle tappe, devi fare prima il catechismo per prendere “l’ostia piccola” e poi fare un catechismo grande per prendere “l’ostia grande”. Sono tornato a casa dai miei genitori. Andavo alla scuola coranica, ma pensavo sempre all’ostia ed ogni tanto cercavo l’occasione per andare dalla nonna, soprattutto intorno alla festa di Natale e di Pasqua per andare a messa e guardare bene cosa faceva il sacerdote.
Subito mi sono accorto che c’erano dei bambini, i chierichetti. Questi erano sempre con il sacerdote. Mi sono detto: “Se mi faccio chierichetto, forse “la cosa del catechismo” andrà più veloce”. In quel tempo per essere chierichetto bisognava essere già battezzato. Io non avevo neanche iniziato il catechismo. Avevo però un amico tra i chierichetti. Era il responsabile. Ho parlato con lui e mi ha inserito nel gruppo. Io ero sempre attirato “dall’ostia”. Volevo fare come il sacerdote.
Non sapevo che dovevo cambiare la mia religione. Seguivo le due religioni: pregavo in moschea e poi andavo in chiesa. Facevo tranquillamente “le due cose”. Ho lasciato la scuola coranica, perché lì ci picchiavano. Al catechismo non ci picchiavano. Per poter avere più facilità ad andare a messa, sono andato a vivere con la nonna. Ho frequentato con impegno e profitto il catechismo e sono stato ammesso al battesimo.
Alcuni mesi dopo il mio battesimo ho detto al sacerdote che volevo entrare in seminario. Mi ricordo che ho detto proprio questo al mio parroco: “Io vorrei essere sacerdote come te”. Avevo forse 13 anni.
In Seminario sono entrato in crisi
Il padre mi ha risposto: “Va bene, ho capito” e non ha aggiunto altro. Ho fatto l’esame per entrare in seminario e sono stato accettato. Avevo 14 anni e dentro di me sentivo solo questo desiderio: “Mangiare la grande Ostia e fare quello che fa il mio parroco”.
Un anno prima dell’ordinazione ho avuto una grande crisi. Non sapevo più perché ero in seminario. Ho preso coscienza della mia crescita… di essere un uomo. Ho iniziato a sentire che ci sono tante cose che si possono fare, ho visto che tanti amici di scuola avevano la loro famiglia. Ho pensato: “Forse non ho maturato bene la mia scelta”. Ho cominciato a criticare i formatori, a guardare i lati negativi dei sacerdoti. Mi sono detto: vado via, ritorno a casa, sono stanco del seminario, voglio dare un altro orientamento alla mia vita.
Mia mamma è andata a trovare il mio parroco e gli ha detto che io volevo lasciare il seminario. Questi è venuto a trovarmi. Gli ho aperto il mio cuore, gli ho detto che ero stanco e che volevo tornare a casa.
Il mio parroco: sempre a disposizione dei più poveri
Il mio parroco mi ha ascoltato e alla fine mi ha risposto: “Stai passando una grande crisi. Se vuoi ti posso aiutare. Se la tua strada è di divenire sacerdote tornerai… prendi il tempo per fare chiarezza in te”. Gli ho detto: “Rimango con te per due settimane poi andrò via”.
Il mio villaggio era molto povero. Il mio parroco era al servizio della gente. Oltre alla mia parrocchia si occupava di altri 17 villaggi. Invece di restare con lui per due settimane ci sono rimasto diversi mesi. Ho constatato che il mio parroco non aveva tempo per se stesso. La sua macchina era sempre a disposizione dei più poveri… spesso faceva da ambulanza per gli abitanti del villaggio. Mi sono lasciato prendere dal ritmo del suo lavoro. Il suo stile di vita, lavoro e preghiera, mi impressionava molto.
All’inizio del nuovo anno scolastico ho detto al mio parroco: “Ritorno in seminario, prima non avevo percepito bene cosa volesse dire essere sacerdote e non avevo capito il suo posto nella vita della gente”. Il tempo passato con il mio parroco mi ha trasformato, convertito. Ho scoperto l’importanza della preghiera, ho avuto sete di Dio, “fame” della Sua Parola e ho percepito bene che il posto del sacerdote è quello di essere al servizio degli altri, soprattutto dei più poveri.
Sono tornato in seminario e ho vissuto il resto della mia formazione nella prospettiva di essere sacerdote, totalmente donato a Dio e agli altri con una preferenza: i più poveri come ha fatto Gesù.
P. Sanny Ghislain, Parrocchia S. Antonio di Padova, Calavi Benin