Il 15 maggio scorso Papa Francesco ha riconosciuto, a nome della Chiesa, la santità di Fratel Charles. Sono sempre stato convinto che San Charles de Foucauld non andò nel deserto per vivere da “eremita”, ma per evangelizzare. Se vent’anni prima aveva fatto scoprire il Marocco al mondo, ora vuol far scoprire al Marocco la sua fede in Gesù Cristo.
Essendo stato formato in un monastero, la sua prima idea di evangelizzazione ricalcava l’ideale monastico: “È l’antica evangelizzazione dei monaci e dei benedettini d’Occidente che sogno per i paesi musulmani”.
Ma ben presto si accorge che i musulmani non sono così pronti a credere in Gesù! Colui al quale bruciava un fuoco in petto per manifestare le meraviglie di Dio, deve lasciar cadere ogni spirito di conquista e abbracciare lo spirito dell’attesa, il lavoro di “preparare il terreno” che sintetizza poi con l’andare “a portare il seme della divina dottrina, non predicando ma conversando, stabilendomi da loro, imparando la loro lingua, traducendo il Santo Vangelo, mettendomi in rapporti d’amicizia fin dove è possibile con essi…”.
Si delineano così le caratteristiche del suo essere missionario: “Imparando la loro lingua, traducendo il Santo Vangelo”.
Vuol conoscerla bene per diventare un abitante dell’Hoggar (deserto dell’Algeria) in piena regola, per farsi tuareg coi Tuaregs, come avrebbe fatto S. Paolo, e per poter parlare con essi, se glielo chiedono, del suo Signore nella loro lingua.
“Mettendomi in rapporti d’amicizia”: Vuole con la sua vita annunziare al mondo la carità, l’amore di Gesù Cristo, attraverso questo legame “Bisogna diventare l’amico sicuro, a cui si ricorre quando si è nel dubbio o nella pena, sull’affetto, la saggezza e la giustizia del quale si possa contare assolutamente. La mia vita consiste dunque nell’essere il più possibile in rapporto con quelli che mi circondano, e nel rendere tutti i servizi che posso”.
Bontà che diventa fraternità: sarà lui che dovrà fare i primi passi, dovrà percorrere il deserto per cercare di conoscere il maggior numero possibile di Tuaregs, dovrà presentarsi, farsi vedere e farsi accettare. Un’amicizia che non si impone, ma che si offre; si fa sempre disponibile ai vicini, a tutti coloro che bussano alla sua porta.
Bontà che diventa offerta di sé fino alla morte: l’apostolato della bontà che vuole praticare ha ragion d’essere se c’è prima una profonda amicizia con Gesù.
Solo se si è immagine di Gesù è possibile suscitare negli altri la domanda sulla bontà e quindi portarli a Gesù. Una bontà che è senz’altro dono di Dio, ma che è anche frutto dell’ascesi per conformarsi a Lui, il Salvatore, ad essere santi come lui.
Ma una evangelizzazione in questo stile chiede un rapporto personale, dialogico e attento all’altro. Non si può parlare e testimoniare se non si conosce colui che mi sta di fronte.
Un’evangelizzazione che richiede tempo, “secoli” ma che una volta radicata nel cuore di ogni uomo diventerà pure lui ritratto luminoso di Gesù.
P. Andrea Mandonico