Lunedì 17 settembre Pier Luigi Maccalli, prete missionario della SMA, è stato rapito di sera, presso il suo domicilio, a pochi passi dalla chiesa di Bamoanga, villaggio della prefettura di Makalondi nella zona sud-occidentale del Niger. Mentre attendiamo con trepidazione di avere notizie certe e attendibili in merito a dove possa essere stato condotto, cerchiamo di tracciare qui di seguito alcuni punti di natura politico-sociale per comprendere come questa nazione sia diventata territorio di vari gruppi armati
Osservando la cartina geografica del continente africano si può già capire perché il Niger sia divenuto ormai da anni un territorio instabile. Il Paese confina a est con il Ciad, a sud con Nigeria e Benin, a nord con Algeria e Libia, e a ovest con Burkina Faso e Mali. Il Niger si trova in un’area estremamente complessa, caratterizzata da una serie di problemi a livello ecologico (desertificazione e carenza d’acqua), economico (alti i tassi di povertà), politico (governi precari e colpi di Stato), demografico (la popolazione con il più alto tasso di fecondità al mondo), strategico e geopolitico (presenza della Francia in tutta la zona del Sahel per difendere i suoi interessi, protrattasi anche dopo la decolonizzazione).
Tra colpi di Stato e regimi militari
Il Niger è indipendente dal 3 agosto 1960. Tuttavia, l’indipendenza ha significato ben 21 anni di regimi militari: dall’aprile 1974 a novembre 1987 con il generale Seyni Kountché e da novembre 1987 a novembre 1991 con il generale Ali Saibou. Nel luglio 1996 il colonnello Ibrahim Baré Maïnassara organizzò un putsch militare, ma nell’aprile 1999 Baré perse la vita durante il colpo di Stato organizzato dal comandante Daouda Mallam Wanké. Dal 1999 al febbraio 2010 presidente del Niger fu Mamadou Tandja, poi destituito da un putsch militare guidato dal generale Salou Djibo.
Attuale Presidente della Repubblica del Niger è Mahamadou Issoufou (nella foto con Emmanuel Macron), classe 1952, ingegnere di formazione, che ha compiuto gli studi di specializzazione in Francia presso la Scuola nazionale superiore delle miniere di Saint-Étienne. Un percorso che gli ha permesso agevolmente di lavorare come Direttore tecnico per la Société des mines de l’Aïr (SOMAIR) filiale della ormai ex AREVA, oggi denominata Orano, multinazionale francese particolarmente attiva nel settore dell’estrazione mineraria in Niger. L’uranio del Niger permette ai francesi di far funzionare molte delle loro centrali nucleari. Le organizzazioni ambientaliste antinucleari attive sia in Niger (Aghir In’man), sia in Francia (si veda Sortir du nucléaire) sottolineano che “lo sfruttamento dell’uranio illumina una lampadina su tre in Francia, mentre la maggioranza dei nigerini non ha accesso alla corrente elettrica”.
Il lato oscuro dell’uranio
Il Niger rimane uno degli Stati più poveri al mondo. Analizzando l’Indice di sviluppo umano 2015 (basato sui dati relativi all’alfabetizzazione e alla speranza di vita) penultimo della lista è proprio il Niger. Eppure, il Niger potrebbe essere un paese ricco, dato che è il quarto produttore di uranio al mondo. Nella zona di Arlit e Akokan, cittadine situate nella regione nord-orientale di Agadez, si trovano due delle più grandi miniere d’uranio al mondo.
La maggior parte dei proventi dell’estrazione dell’uranio va alla multinazionale francese Orano (ex Areva). È importante considerare questo aspetto, poiché la dicotomia fra povertà e ricchezze minerarie del sottosuolo (inclusi i giacimenti petroliferi) fornisce un fertile terreno di coltura per i gruppi jihadisti. Il connubio tra instabilità politico-governativa e indigenza della popolazione fa del Niger un luogo “ideale”, per vari attori interni ed esterni, dove portare avanti i propri interessi.
La crisi in Mali ha contagiato il Sahel
Era il 2012 quando gruppi di Tuareg nel nord del Mali, che da anni rivendicano un loro Stato indipendente, si allearono con movimenti jihadisti portando terrore e distruzione in varie zone. Dopo aver minacciato il loro ingresso nella capitale Bamako, l’allora Presidente del Mali Dioncounda Traoré chiese aiuto alla comunità internazionale. Nel gennaio 2013 l’Onu autorizzò una missione militare guidata dalla Francia. Iniziò un conflitto interno, che vide il Mali diviso in tre zone: quella meridionale controllata dal governo Traoré, quella attorno a Timbuctù fu terreno di battaglia, mentre il nord divenne una sorta di roccaforte di gruppi jihadisti (Ansar Dine; Al Morabitoun; Movimento per la liberazione di Macina).
L’operazione militare chiamata “Serval”, guidata dalla Francia, formalmente si concluse nell’agosto 2014, ma non portò pace e stabilità, tanto che nell’agosto 2014 venne lanciata l’operazione “Barkhane” nel cosiddetto G-5 Sahel. Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger compongono l’organizzazione G5-Sahel, nata per affrontare i problemi comuni dei cinque Stati. Il Mali è considerato la “porta del Sahel” e l’ascesa dell’estremismo islamico armato entro i suoi confini ha dato vita a una sorta di effetto domino, contagiando i Paesi confinanti, come il Niger.
Fra terrorismo e rapimenti
Un effetto domino che ha contaminato il vicino Burkina Faso che, insieme a Mali e Niger, è terreno in cui si muove e opera il Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen, costituito dalle milizie jihadiste Ansar Dine, al-Mourabitoun e al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM). Per questa nebulosa galassia jihadista – esperta nella frammentazione, nella dispersione e nella trasformazione “camaleontica” – l’Africa, e più precisamente la regione del Sahel, è ormai diventata una base alternativa all’Afghanistan e al Medio Oriente. È qui che ha messo radici lo Stato Islamico nel Grande Sahara, branca del Daesh che opera nella regione africana.
La dinamica con cui è stato rapito Padre Maccalli ricorda quella di un altro sequestro di persona, avvenuto sempre in Niger pochi mesi fa. Nel mese di aprile, un commando a bordo di motociclette ha rapito Jörg Lange (nella foto in alto a destra), operatore umanitario tedesco (cooperante della ONG Help). Il fatto è accaduto nei pressi di Ayrou.
Nel 2016 un altro cooperante, Jeffery Woodke, statunitense attivo all’interno dell’ONG Jemed, venne rapito nella notte del 14 ottobre, nella sua abitazione di Abalak (regione di Tahoua, nel nord-est del Niger). Non si hanno più notizie né di Jeffery Woodke, né di Jörg Lange. Il Presidente del Niger Mahamadou Issoufou ha tuttavia dichiarato, in occasione della sua visita in Francia nel giugno 2018, che entrambi sono vivi e che il governo di Niamey continua a lavorare per la loro liberazione.
Intanto due giorni dopo il rapimento di Padre Maccalli, il Consiglio europeo ha prorogato il mandato della missione EUCAP Sahel Niger per altri due anni, fino al 30 settembre 2020. La missione venne avviata nel 2012 per supportare le autorità del Niger nelle politiche legate alla sicurezza e alla minaccia terroristica; in seguito, la missione è stata indirizzata alle questioni connesse al controllo delle migrazioni irregolari.
Addestramenti americani e rotte dei migranti
Anche gli Stati Uniti stanno rafforzando la loro presenza militare in Niger – dopo l’uccisione di quattro Berretti Verdi, in un agguato avvenuto nel nord-est del Niger nell’ottobre 2017 –, attraverso l’uso di droni, nonché la creazione di “nuovi punti d’appoggio”. Importante per gli statunitensi è anche l’organizzazione di esercitazioni militari – come quella avvenuta nell’aprile 2018, a cui hanno partecipato truppe di 20 Paesi africani e 13 nazioni occidentali, Italia inclusa – effettuate per rafforzare la capacità e le competenze militari nel contesto della guerra al terrorismo in Africa.
In questo quadro complesso, caotico e multiforme si aggiunge la questione migranti. Il Niger è ormai diventato un crocevia dei flussi migratori. In particolare, Agadez si è trasformata in un punto di transito di migliaia di africani diretti verso il Maghreb e il Mediterraneo. Le poetiche e suggestive azalaï, che in tamasheq (la lingua tuareg) indicano le antiche carovane di sale che solcavano il Niger e il Mali, fanno parte di un’epoca ormai coperta dalle sabbie del deserto.
Governi precari, uranio, gruppi armati, eserciti internazionali e flusso dei migranti: tutto questo si intreccia in Niger, una nazione i cui cittadini rimangono tra i più poveri del mondo, a dispetto delle ricchezze della terra su cui camminano da secoli.
Silvia C. Turrin
Foto: koaci.com; TNH-F.Bellina; Afrika-news.com; ispionlie.it; sito Maghreb&Sahel