La data del 9 marzo 2018 è entrata nella storia della Repubblica Democratica del Congo. Quel giorno il presidente Joseph Kabila (nella foto), cambiando radicalmente l’atteggiamento fino ad allora assunto dal governo, aveva convocato a Kinshasa i presidenti delle più grandi imprese minerarie che operano nel suo paese. Per sei ore avevano discusso a porte chiuse. Erano presenti in particolare l’anglo-svizzera Glencore, la cinese Chinal Molybdenum, l’anglo-sudafricana Randgold Resources, la canadese Ivanhoe Mines, oltre che la partecipata statale Gécamines, in cui da sempre operano capitali belgi.
Due giorni dopo Kabila ha reso pubblico un decreto presidenziale, con il quale è entrato in vigore il nuovo codice minerario. Una nuova era è cominciata in Congo: il paese ha smesso di svendere le sue ricchezze minerarie alle multinazionali, di negoziare con loro sempre in posizione di inferiorità, e vuole che da questo settore non nasca più corruzione, ma risorse per lo sviluppo e il benessere dei suoi cittadini.
Concretamente, il governo congolese imporrà una tassa del 50% sugli utili realizzati nel paese dalle imprese minerarie, e in più porterà al 10% la royalty per i prodotti minerari definiti strategici.
Erano misure reclamate da tempo persino da Banca Mondiale e da Fondo Monetario Internazionale: basti pensare che in Congo l’aliquota fiscale per il settore minerario non superava il 13%, quando le istituzioni finanziarie internazionali consideravano ragionevole una tassazione uguale o superiore al 46%!
Ma, mettono in guardia due ricercatori, Stefan Marysse e Claudine Tshimanga, citati da B. Radley in African Arguments, il governo dovrà ora vegliare affinché le imprese minerarie non trucchino i loro bilanci, per mascherare gli utili, e sottrarsi così alla tassazione.
Un trucco già usato dalla Glencore pochi anni fa: vendeva grosse quantità del suo rame estratto nel Katanga a una oscura sussidiaria svizzera, la Kamoto Copper Company, ma a un prezzo inferiore a quello di mercato. Per cui nel suo bilancio accumulava perdite, e si sottraeva alla tassazione del governo congolese. Nel frattempo la Kamoto rivendeva il rame al giusto prezzo a un’altra sussidiaria della Glancore, la canadese Katanga Mining Limited, realizzando lucrosi profitti per la casa madre, che però sfuggivano al fisco congolese.
Queste notizie sono note al mondo minerario. Meno noto è invece il ruolo che ha giocato la società civile, e in particolare la chiesa cattolica, nell’elaborazione del nuovo codice minerario,
La conferenza episcopale nel 2007 ha costituito la Commissione Episcopale per le Risorse Naturali (Cern), affidandola a Henri Muhiya. La Cern ha come fine di vigilare sulla politica del governo in materia mineraria, affinché sia sempre rispettosa dei diritti umani e dell’equilibrio dell’ambiente, e contribuisca allo sviluppo sostenibile e trasparente di tutti i cittadini congolesi.
Quando cinque anni fa il parlamento congolese ha iniziato il dibattito sul nuovo codice minerario, la Cern insieme ad altre realtà della società civile si è proposta come partner.
“La forza della Cern si basa sulla sua organizzazione, spiega Henry Muhiya. Essa rappresenta 32 diocesi, da cui provengono le segnalazioni sullo sfruttamento delle risorse minerarie. Un’équipe di 5 persone poi si sposta in loco per incontrare le popolazioni e per raccogliere le informazioni dettagliate e i dati necessari a stabilire dei dossiers sulle varie questioni legate allo sfruttamento delle nostre risorse naturali. Altro punto forza, la Cern non agisce da sola, ma in sinergia con una decina di altre Ong”.
Henry Muhiya spiega ancora che la Cern ha avuto un ruolo determinate nell’esigere che la tassa sui minerali strategici, come il cobalto, sia innalzata dal 2 al 10%, a differenza di quella sui minerali più comuni, come il rame, portata dal 2 al 3,5%. E questo perché il paese, a differenza delle imprese minerarie, finora non beneficiava sufficientemente dell’aumento del loro prezzo sul mercato mondiale. Il cobalto, ad esempio, in 12 mesi ha aumentato il suo prezzo del 127%.
“Tutte le grandi multinazionali minerarie erano contro di noi, continua Muhiya. Randgold Resources era la più aggressiva, la più chiusa ad ogni mutamento”. Ma la tenacia e la coerenza delle Ong ha convinto il governo a non cedere, ed il nuovo codice minerario metterà maggiori risorse a disposizione dei cittadini. È una vittoria della giustizia.
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