Sono rientrata dalla Repubblica Centrafricana solo pochi giorni fa e già avverto un forte desiderio di tornarci. In questi giorni non ho fatto altro che raccontare a parole e con le foto l’esperienza vissuta.

Sono stata a Mabondo, un villaggio assai povero e sperduto nella foresta, dove vivono circa 200 pigmei o Bayaka. Qui, con l’aiuto di P. Carlos, abbiamo allestito un piccolo ambulatorio per effettuare un’accurata visita oculistica.

Ho visitato oltre 300 persone provenienti dai villaggi più vicini ma anche distanti 3-4 ore; molti non conoscono l’alfabeto e nemmeno la loro età; gente molto povera che arrivava in moto-taxi al mattino presto e con pazienza attendeva anche diverse ore per essere visitata.

Ci sono stati momenti difficili in cui ho sentito crescere in me tanta rabbia per l’impotenza di dare un concreto e immediato aiuto.

Tante le cataratte diagnosticate (circa 65), molte bilaterali e complicate, quindi ipovedenti e ciechi, soprattutto giovani.

Diverse pure le persone affette da glaucoma (malattia subdola che porta a cecità) con nervi ottici già compromessi e senza alcuna terapia.

Con i numerosi occhiali portati dall’Italia, ho potuto accontentare tanta gente: sia chi, avendo superato i 40 anni, aveva grandi difficoltà nella lettura per vicino, sia chi, lavorando esposto al sole, ha fortemente gradito le lenti scure per proteggersi.

Terminate le visite, mi piaceva girare nel villaggio, conoscere uno ad uno i Bayaka, le loro abitudini e soprattutto i bambini con i quali ho trascorso momenti indimenticabili cantando, ballando e giocando. Abili ad imparare le canzoncine italiane, la loro preferita “Nella vecchia fattoria ia-ia-o”; la intonavano appena mi vedevano anche in lontananza.

Sono rimasta colpita dalla loro estrema povertà: vivono in case e capanne realizzate con bambù, foglie e terra. Indossano abiti stracciati, molti sono senza scarpe o ne hanno solo una o entrambe ma di modello e colore diversi.

Il mondo è davvero diviso in due: noi col nostro benessere e loro che non hanno nulla, ma proprio nulla, ma disarmanti sono i loro sorrisi, i loro sguardi, la capacità di condividere e dividere ogni cosa, anche le briciole di un pesciolino di fiume appena pescato e cotto sul fuoco.

Ho lasciato Mabondo e l’Africa a malincuore soprattutto per il forte legame creatosi con i bambini.

Vorrei tornarci non solo per riabbracciarli, ma per mantenere una promessa fatta ai tanti pazienti ciechi: operarli per ridare loro la vista e quindi la Vita.

Floriana Garofalo


Questa lettera di Floriana è inserita anche nel n. 167 di SMA Notizie

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