Il documentario sulla storia di un ragazzo della Costa d’Avorio costretto a lasciare la sua casa e il suo Paese per sentirsi al sicuro, tra i prescelti per la Giornata dei migranti
“Questa è la zona che ha cambiato la mia vita”. Kaba mostra una mappa di Google e indica una fabbrica dismessa. Tutto è cominciato qui una sera di 8 anni fa. “Dopo il lavoro, seduto su una panchina, aspettavo che mio fratello passasse a prendermi”. Nell’attesa si è ritrovato testimone involontario di un’omicidio: una donna uccisa da quattro sgherri sotto i suoi occhi.
Non esita a denunciare l’accaduto alla polizia, i quattro finiscono in prigione ma solo per pochi mesi e una volta fuori iniziano a dargli la caccia. La sua vita non sarà più la stessa. Cominciano i pedinamenti, gli attacchi al suo datore di lavoro e a sua sorella: l’obiettivo è colpirlo.
Kaba si trasferisce a Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, sperando di far perdere le sue tracce. Purtroppo viene localizzato, colpito in testa e accoltellato. Sopravvissuto all’attacco, si sveglia in ospedale: è in quel momento che Kaba capisce che l’unica soluzione è lasciare la Costa d’Avorio.
Così inizia “Il viaggio di Kaba” ora diventato un documentario. Il filmato, diretto da Alexandra Vogel e prodotto da Fabrica, ripercorre le tappe che hanno portato in Italia Kaba Mohamed, un ivoriano di 22 anni costretto a lasciare il suo Paese per sentirsi al sicuro. Si ritrovano situazioni comuni ad altri immigrati che, come Kaba, intraprendono viaggi lunghi e pericolosi alla ricerca di una vita migliore.
La solita rotta che attraverso Niger e Algeria porta in Libia. La disillusione e la voglia di scappare di nuovo. “Il viaggio in Italia non era programmato, il mio obiettivo era la Libia — dice — Ma una volta arrivato a Tripoli è successo qualcosa che mi ha spinto a venire in Italia: non potevo tornare a casa, anche perché sulla via del ritorno il rischio di rimanere vittima dei trafficanti di organi era più alto del rischio del mare. Chiunque provi a tornare indietro viene preso, nessuno sa dove sono finiti tutti quelli che ci hanno provato”.
Kaba rivela anche qualche suo stratagemma personale, come quello di infilare il cellulare dentro un panino per sfuggire alle perquisizioni prima di imbarcarsi per l’Italia: “Ho rischiato molto, se se ne fossero accorti mi avrebbero fatto fuori subito”.
Toccante la rievocazione della prima telefonata dall’Italia con la madre: “Era il 2015, c’erano stati migliaia di morti nel Mediterraneo: era da più di un anno che non la sentivo, ed era sorpresa, pensava che fosse mio fratello, ma sei tu? continuava a ripetere”.
Realizzato con la collaborazione con l’associazione Refugees Welcome Italia, “Kaba” è tra i video prescelti dall’Unric (Centro regionale di informazione delle Nazioni Unite per l’Europa occidentale) per celebrare la Giornata internazionale dei migranti. Un volto e una storia che dice più di mille numeri.
Alessandra Muglia, Corriere della Sera