La storia del villaggio di Kolowaré inizia nel 1935 con la creazione del lebbrosario. A quell’epoca Agnoro di Kparatao era capo cantone. Aveva sotto la sua giurisdizione i villaggi di Sokodé, Bafilo, Agoulou, Kri-Kri e Tchamba.
Agnoro, un capo villaggio oculato
Un medico europeo, durante le sue visite ai villaggi della zona, aveva notato che i lebbrosi si nascondevano e rimanevano senza cure, così la lebbra guadagnava terreno. Il medico andò a trovare il capo cantone Agnoro e gli propose di riunire i lebbrosi del circondario. Agnoro convocò i capi-villaggio e comunicò loro la notizia. Nello stesso tempo fece preparare un terreno ai bordi di un ruscello, chiamato Kolowaré, in cui scorreva acqua tutto l’anno, e vi fece costruire una quarantina di capanne per accogliere gli ammalati.
Gli ammalati hanno paura, ma poi arrivano
Fu molto difficile ai capi villaggio riunire gli ammalati. La gente raccontava che il bianco voleva rinchiudere gli ammalati nelle capanne per appiccicarvi il fuoco e sbarazzarsi di questa malattia che faceva paura a tutti. I lebbrosi preferivano dunque morire nascosti piuttosto che rendersi a Kolowaré.
Finalmente i capi tradizionali riuscirono a convincere gli ammalati che furono condotti a Kolowaré un lunedì del 1935, il giorno dopo la festa del Ramadan.
Questo primo gruppo comprendeva più di un centinaio di ammalati. Provenivano da Sokodé, Kparatao, Agoulou, Kri-Kri e Bafilo. Un mese dopo arrivarono quelli di Tchamba: in tutto quasi duecento ammalati. Gli ammalati ricevano regolarmente 6 franchi al mese per provvedere ai loro bisogni, in più si offrì loro degli strumenti di lavoro – zappa, vanga, machete, una macina – per renderli indipendenti.
All’inizio non c’era nessuna struttura sanitaria. Ogni lunedì un dottore europeo e l’infermiere Dermane, venivano da Sokodé con il materiale medico. Le cure comportavano essenzialmente delle iniezioni.
Quando gli ammalati rimasti nascosti nei casolari in campagna, sentirono che i loro colleghi erano ben trattati e che ricevevano anche regolarmente una piccola somma per provvedere ai loro bisogni, vennero spontaneamente a Kolowaré e si dovettero costruire altre quindici capanne. L’aumento degli ammalati comportò l’aumento del numero degli infermieri che venivano sempre da Sokodé.
Il villaggio si trasforma
All’inizio Kolowaré era considerato “un villaggio per la segregazione dei lebbrosi”. Poco alla volta gli ammalati fecero venire le loro famiglie e il villaggio si ingrandì.
Oggi Kolowaré non è più un “villaggio di lebbrosi”, ma un “villaggio in cui vivono dei lebbrosi”. Questi ammalati sono chiamati “Blanchis”, cioè persone in cui il morbo non è più attivo, anche se la maggior parte di loro è inferma a causa delle conseguenze devastanti lasciate dalla malattia. Tre volte la settimana vengono al dispensario per seguire le terapie, soprattutto per curare le piaghe legate alla insensibilità degli arti.
Con l’afflusso delle famiglie nacquero nuovi bisogni. Le suore aprirono una scuola elementare per l’educazione dei bambini, poi un poli-ambulatori con una sala per le consultazioni, una per le iniezioni, le medicazioni, una trentina di camerette per accogliere gli ammalati, poi una maternità con sala parto e alcune camere per le partorienti con una dozzina di letti, un laboratorio per le analisi, una calzoleria per fabbricare scarpe e protesi per gli ammalati.
Poco alla volta il dispensario si è trasformato in un importante Centro Sanitario, con una sezione per i bambini malnutriti, una radiologia, la presenza di un dottore, una banca del sangue. Attualmente nel Centro Sanitario ci sono tre suore infermiere, una italiana, suor Antonietta Profumo, e due togolesi, suor Béatrice Amekusé e suor Régine Bellamy, con un personale sanitario di una decina di persone. Il Centro è diventato anche un punto di riferimento e di cura per gli ammalati di AIDS.
Ecco cosa dice oggi (2015) di Kolowaré il capo villaggio Wuro Adam: “Quando si parlava di Kolowaré si mettevano in evidenza solo gli aspetti negativi… un villaggio di lebbrosi, di ammalati ai margini della società, di gente che non conta, che non fa nulla… venite a vedere oggi cosa hanno prodotto questi ammalati, venite a constatare come hanno trasformato il villaggio, e com’è la gente che vive oggi qui a Kolowaré”.
Collaborazione fra padri e suore
Accanto alle suore di Nostra signora degli Apostoli, dall’inizio, ci sono stati vescovi e padri SMA. Nel 1953 arriva padre Georges Fischer come cappellano del lebbrosario. Rimane a Kolowaré solo un anno. Si ammala e muore a Kolowaré nel 1954. E’ sepolto nel vecchio cimitero dietro alla missione. Dal 1958 al 1965 è presente a Kolowaré padre Eugène Sirlinger, proveniente dalla Nigeria. Un linguista polivalente e uomo tutto fare. Il padre è considerato come il primo parroco effettivo del villaggio iniziando i vari registri parrocchiali: battesimi, comunioni, cresime, matrimoni.
La parrocchia porta il nome di “Saint Léon IX” Costruisce tre nuove aule, ed essendo anche falegname, costruisce mobili per la chiesa, le suore, le scuole. Ha lasciato un forte ricordo. Ancora oggi, 2015, tanti lo ricordano. Dopo la partenza di padre Sirlinger, è padre Labaste di Sokodé che assicura la messa, e così per una decina d’anni. I padri di Sokodé vengono a Kolowaré per la messa domenicale. Nel 1974 padre Henri Bannwarth fonda la missione di Tchamba e inizia anche ad occuparsi di Kolowaré. Ogni giovedì e ogni domenica il padre viene a Kolowaré per celebrare l’Eucaristia.
Nel 1984 il padre costruisce una nuova chiesa, la vecchia ormai era diventata troppo piccola. Con la chiesa sorge anche un campanile con tre campane. Il padre trascorre 52 anni in Togo, e gli ultimi anni della sua vita li passa a Kolowaré e costruisce una nuova ala al vecchio presbiterio. Nel 1997 rientra ammalato in Francia dove muore il 2 gennaio 2002.
Dopo la partenza di padre Bannwarth non ci sono più stati padri residenti a Kolowaré. Il villaggio dipendeva dalla parrocchia di Nostra Signora della Visitazione di Sokodé. I padri si occupavano di Kolowaré venendo a celebrare l’eucaristia il venerdì e la domenica.
Una presenza permanente
Nel maggio 2004 sono arrivato a Kolowaré e da allora sono presente come “prete residente” (Annuario della diocesi di Sokodé, 2015, p. 13. “esercitando il lavoro pastorale in collaborazione con il parroco responsabile della parrocchia di Koulundé di cui Kolowaré è una stazione secondaria”(Lettera del Vescovo, 13 aprile 2006).
Con l’aiuto del catechista Matieu ho iniziato a visitare I villaggi della zona. Attualmente abbiamo comunità che hanno iniziato ad accogliere la Parola di Dio a Atchibodow, Welou, Lora, Sabaringadè, e ultimamente a Wassarabo, dove sono andato a celebrare la “prima messa” domenica 8 febbraio 2015.
A Kolowaré esiste una comunità con un migliaio di cristiani, fra battezzati, catecumeni e simpatizzanti. Nel data base della missione sono registrati un po’ più di 800 battezzati.
Fra questi c’è un gruppo di una quindicina di catechisti che assicurano la catechesi in francese tra gli alunni della scuola elementare e medie, e in kotokoli per gli adulti. Quest’anno – 2015 – abbiamo circa 150 catecumeni suddivisi nei vari gruppi: pre-catecumentato, preparazione al battesimo, alla comunione, alla cresima.
Fra i catechisti ricordiamo il catechista principale, Silvain, che legge in Tem-Kolotoli i testi liturgici in chiesa alla domenica e traduttore delle omelie; Pascal il “Governatore” della chiesa, il sagrestano tutto fare, Mathieu il catechista che mi accompagna nei vari villaggi e che traduce i testi liturgici alla messa del sabato nella cappella degli ammalati; Bernard, il ministro dell’Eucaristia che porta la comunione agli ammalati ogni domenica prima della messa,.
Nella comunità sono attivi alcuni gruppi: La Legione di Maria, dinamica ed evangelizzatrice con le visite a domicilio; il gruppo di “JM”, Gesù Misericordioso, soprattutto formato da giovani e animato dal catechista Silvain; sei comunità di base, il gruppo dei CVAV, Fanciulli di Azione cattolica, guidato dall’infermiere Joseph e un gruppetto di animatori.
Itinerario quaresimale
Con i catechisti abbiamo preparato un itinerario per la Quaresima con incontri di preghiera nei vari quartieri. Il mercoledì delle Ceneri inizieremo la quaresima con un gesto simbolico. Alle 15 partiremo in processione, con canti penitenziali, dalla chiesa al limitare del villaggio con in mano le vecchie palme dell’anno precedente che avevamo nelle nostre case. Esse sono state testimoni di tutto il disordine, la sporcizia, il male, i peccati, che si sono accumulati su di noi e nel villaggio durante tutto l’anno passato.
Con un gesto simbolico mostriamo la nostra volontà di liberarci, di togliere dalle nostre persone e dal villaggio tutto il negativo accumulato durante l’anno, riportandolo nel suo luogo d’origine: la boscaglia, la zona incolta, là dove abitano gli animali feroci, i serpenti, e secondo i miti locali, i geni, gli spiriti, le forze numinose, la morte. Al termine della processione ognuno di noi depone la sua palma ad un crocicchio.
Una volta accatastate sono bruciate. Con loro vogliamo “bruciare” tutto il male dentro fuori di noi, e intraprendere un cammino nuovo. Il Crocevia indica le diverse strade che possiamo percorrere, delle scelte da fare. Solo la Parola di Dio ci indica quelle giuste, il cammino della vita. La cenere è raccolta e utilizzata per l’imposizione sulla fronte dei penitenti nella cerimonia che seguirà in chiesa.
Nel villaggio c’è un nucleo centrale musulmano. Per tenere i contatti con loro, e per iniziarmi alla lingua, dal 2005, ho iniziato a raccogliere le loro storie andando al villaggio per delle sedute narrative. Per alcuni anni un gruppo veniva alla missione ogni mercoledì pomeriggio. Ora tanti narratori sono scomparsi. Da questi incontri sono nati alcuni fascicoli di racconti: “La fille à la main coupée”; “Quand les Souliers prlaient aux hommes”; “Le puits du Savoir” ; “Le don du Devin”, “Le Tabouret magique”.
I testi, in francese e in kotokoli, si possono trovare a nel mio sito.