La scrittrice Imbolo Mbue (1981) è nata a Limbe, la città sulla costa del Camerun conosciuta dal 1858 al 1982 come Victoria, capoluogo del dipartimento di Fako.

Ha studiato negli Stati Uniti alla Columbia University e da circa dieci anni è cittadina americana. Vive a New York.

Lei stessa racconta di aver iniziato, dopo gli studi universitari, un lavoro nel marketing per una società di media e di essere rimasta colpita, camminando per le strade di New York City, dalla differenza tra le classi sociali: gli autisti, in attesa di portare i dirigenti d’azienda, erano prevalentemente neri.

Questo ha costituito la base per il suo romanzo d’esordio, Siamo noi i sognatori (Garzanti, 2018, traduzione di Stefano Beretta), tradotto in dodici lingue e adattato per un’opera teatrale.

Nella scrittura di Mbue confluiscono le sue esperienze personali di immigrata con esperienze simili di altri immigrati: le lotte per sopravvivere, le lotte finanziarie, la disperazione, il ripensamento dei propri obiettivi finali.

Nel suo romanzo esplora i temi che riguardano la complessità delle politiche sull’immigrazione negli Stati Uniti e – più in generale – il raggiungimento del sogno americano.

C’è un particolare interessante, Mbue ha sottolineato più volte l’importanza della letteratura per trasmettere empatia, un sentimento che secondo lei è assente nelle politiche sull’immigrazione e nella politica in generale.

Siamo noi i sognatori le è valso il PEN/Faulkner Award for fiction e il Blue Metropolis Words to Change Award ed è stato il Best Book of the Year nel 2017.

Tutti lo chiamano sogno americano, ma per Jende e sua moglie Neni, entrambi di Limbe in Camerun, è soprattutto una nuova opportunità.

Sono arrivati a New York con un bagaglio di speranze, lasciandosi tutto alle spalle, pronti a lottare per un futuro migliore. Eppure la vita nella Grande Mela non è facile per chi deve guadagnarsi perfino il più piccolo traguardo.

Fino a quando hanno la loro occasione: Jende viene assunto come autista da Edward Clark, consigliere d’amministrazione di un’importante società finanziaria di Wall Street. Questo vuol dire stabilità economica, ma anche poter osservare da vicino chi è riuscito a vivere l’agognato sogno americano.

Jende accompagnando al lavoro Clark, scoprirà infatti segreti, paure, bugie e legami fragili.

Jende stava tremando.

Si era appena reso conto di come il suo destino fosse legato a doppio filo a quello di un altro uomo. E se fosse successo qualcosa al signor Edwards?

I sogni a volte possono condurre a tragiche conseguenze e Jende e Neni si trovano davanti ad una scelta: credere ancora e lottare o abbandonare le loro illusioni.

Un piccolo contributo di Imbolo Mbue, intitolato A reversal, è inserito in New daughters of Africa (pp. 805-807) edito da Margaret Busby nel 2019.

L’ultimo romanzo di Mbue, How beautiful we were (Ramdom House, 2021), affronta un tema di grandissima attualità: la crisi ambientale in Africa, causata dall’avidità aziendale (in questo caso una compagnia petrolifera).

Come non ricordare al riguardo le lotte ecologiste contro la Shell dello scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa?

Il romanzo di Imbolo Mbue non è stato ancora tradotto in Italia.

Maria Ludovica Piombino
Biblioteca africana Borghero


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