Pace, inclusione, meticciato sono al centro delle riflessioni di Cheikh Tidiane Gaye, docente liceale di filosofia e scienze umane a Milano, nonché scrittore e poeta.
Negli anni, ha pubblicato saggi, romanzi, racconti e poesie. Tra i vari libri, ricordiamo: Prendi quello che vuoi, ma lasciami la mia pelle nera (Jaca Book, 2013); Ode nascente-Ode naissante (Kanaga, 2018); Il canto del djali. Voce del saggio, parole di un cantore (Kanaga, 2018); Ma terre, mon sang (Kanaga, 2021); Voglia di meticciato. Dialogo tra le culture ed etica (Kanaga, 2022).
Attraverso la sua intensa attività letteraria, Cheikh ha valorizzato il lascito umano e culturale di Léopold Sédar Senghor, creando l’Accademia Internazionale Léopold Sédar Senghor di cui è Presidente. Inoltre, è da tempo impegnato in Italia e all’estero a favore della costruzione di un mondo di pace.
Per questo suo lavoro, Cheikh Tidiane Gaye ha ricevuto svariati riconoscimenti, tra cui il Premio per la pace Narges Mohammadi nell’ambito del Premio Internazionale di Poesia “Ciò che Caino non sa”, e la nomina ad Ambasciatore della pace dall’Accademia delle Arti e Scienze Filosofiche di Bari.
Proprio per il suo instancabile impegno a favore della fratellanza tra i popoli, sarà anche candidato al Premio Nobel alla Pace.
Sul nostro sito abbiamo pubblicato la Prima Parte dell’intervista che ci ha gentilmente rilasciato.
Di seguito la Seconda Parte.
S.C.T. – Facciamo un salto nel tempo, e parliamo del tuo arrivo in Italia. Quando sei giunto in Italia e perché?
Cheikh Tidiane Gaye – «È da quasi 30 anni che vivo in Italia, una presenza proficua, un paese che mi ha dato tutto. Perché ho scelto l’Italia? Sento a pelle di essere a casa, di voler conoscere la storia gloriosa di una terra che ha dato molto all’umanità. Ho raggiunto la penisola per scrivere le più belle pagine della mia biografia, per ora incompleta. Ho tanto da fare e da dare. Spero di continuare a sognare e partecipare portando qualcosa a beneficio della collettività».
S.C.T. – In questi decenni, dalla tua prospettiva com’è cambiata l’Italia? Percepisci che ci siano più intolleranze e razzismi?
Cheikh Tidiane Gaye – «L’intolleranza c’è e l’ignoranza regna ovunque. Chiediamoci perché siamo arrivati a questo livello? È l’incapacità dei nostri politici. L’immigrazione non si gestisce facendo populismo. L’Italia non ha imparato da altri paesi. Ci saranno sempre flussi migratori e ciò dovrebbe essere chiaro. Per sconfiggere l’intolleranza, l’ignoranza, dobbiamo plasmare scenari educativi volti a garantire vere politiche inclusive. Occorre abbinare diritti e doveri, e poi ripartire dalla scuola e curare il linguaggio politico oggi in uso e abusato. Un linguaggio che fa male al paese. La classe politica di oggi non è capace di creare questi percorsi. Allora è più semplice finire sui media per usare l’immigrazione come cavallo di battaglia elettorale e ricavare dei voti. Ecco il grande danno».
S.C.T. – Oltre che scrittore e docente sei un poeta. Hai dedicato a Papa Francesco la poesia “I miei tre fiori”, in cui emergono tanti messaggi, su tutti la fratellanza e il dialogo tra i popoli e le religioni. Com’è nata questa poesia e come l’ha accolta il Pontefice?
Cheikh Tidiane Gaye – «Adoro Papa Francesco, un grande uomo, un uomo di pace. Era il 2015, quando dedicai al Pontefice la poesia che hai ricordato, “I miei tre fiori”. Il titolo a livello simbolico richiama le tre religioni, ovvero l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam, chiamate a dialogare per garantire la pace al mondo. Ho ricevuto tempestivamente la risposta del Vaticano, una lettera firmata dall’Assessore Mons. Peter B. Wells. Nella lettera, l’Assessore mi ringrazia per l’atto di omaggio e per i sentimenti tradotti nella poesia. Il messaggio di Papa Francesco è chiaro. Che le sinagoghe, le chiese e le moschee parlino più di pace. Bisogna nutrire la speranza che qualcosa cambi concretamente. Papa Francesco è un uomo di pace. Ho voluto tradurre la mia stima nei suoi confronti attraverso il linguaggio poetico e mi auguro che un giorno possa incontrarlo di persona».
S.C.T. – Infine, un consiglio: dal tuo punto di vista, quali gesti e/o azioni può compiere un cittadino “comune” per creare una società fondata sulla Pace?
Cheikh Tidiane Gaye – «La pace non va predicata ma coltivata. La pace è allo stesso tempo un atteggiamento e un comportamento. Considerare la pace come una virtù pratica può aiutarci a creare un mondo diverso. Che ciascuno di noi la pratichi pensando di fare del bene all’Altro cambierebbe qualcosa. Tutta la questione risiede nel modo in cui trattiamo “l’altro” e lo consideriamo. Se l’altro viene considerato come noi, allora la speranza può nascere e il mondo potrà essere diverso.
“Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”: questo dovrebbe essere il nostro pensiero quotidiano».
Intervista a cura di Silvia C. Turrin
Per approfondire le opere e le attività di Cheikh Tidiane Gaye visita il suo sito ufficiale
www.cheikhtidianegaye.com