I primi mesi del 2023, sono stati segnati da un intenso fermento nelle relazioni politico-economiche tra l’Italia e diversi paesi africani. La guerra in Ucraina e le conseguenze che ne sono derivate a livello, anche, di approvvigionamento energetico, hanno spinto il governo di Roma a orientare il proprio sguardo e i propri interessi verso l’Africa. Lo dimostrano non soltanto gli accordi sul gas con la Libia e l’Algeria, ma anche le visite in Italia del presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud e del primo ministro etiope Abiy Ahmed. Se c’è apertura verso l’Africa per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse energetiche, la chiusura – anche delle frontiere – si manifesta per quanto riguarda il tema migranti provenienti dal continente africano.
Libia, gas, petrolio e instabilità
Alla fine del mese di gennaio 2023, l’ENI e la Compagnia nazionale di petrolio libica hanno sottoscritto un accordo ormai definito “storico”. L’intesa prevede lo sfruttamento, a partire dal 2026, di due importanti giacimenti di gas. Gas che sarà distribuito sia in loco, in Libia, e un terzo destinato, appunto, al fabbisogno energetico dell’Italia.
Attualmente, il nostro paese riceve gas libico tramite GreenStream, gasdotto di 520 chilometri, che collega l’impianto di trattamento di Mellitah a Gela, in Sicilia. Ricordiamo che l’ENI è presente in Libia dal 1959. In realtà, si dovrebbe parlare ancora della vecchia Agip, quando Enrico Mattei spinse la realizzazione di un’intensa attività di ricerca proprio verso la ex colonia italiana. Una decisione certamente lungimirante, dato che la Libia è uno dei quattro principali produttori di petrolio del continente africano: gli altri paesi sono la Nigeria, l’Algeria e l’Angola.
In Europa, il maggior importatore di gas e di petrolio libico era ed è l’Italia. Il paese nord africano rimane comunque instabile sul piano politico-militare, dopo la caduta di Gheddafi, eppure viene considerato una nazione con cui continuare a intessere affari. Le motivazioni sono ovviamente energetiche, considerata la presenza di importanti giacimenti di idrocarburi. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), le riserve petrolifere libiche si aggirano attorno ai 43 miliardi di barili.
Un’enorme ricchezza nel sottosuolo libico che rischia di frenare la transizione ecologica. La scelta di investire ancora nello sfruttamento e nella distribuzione di gas e petrolio appare illogica, perché si tratta di fonti energetiche altamente inquinanti che hanno contribuito in modo pervasivo alla crisi climatica in atto. Inoltre, le tecnologie per sfruttare una ricchezza a basso impatto ambientale – come quella solare – sono ormai disponibili da numerosi anni e nel continente africano di sole ce n’è in abbondanza.
Nonostante la creazione di un governo di unità nazionale, nel 2021, con a capo Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, la Libia rimane in una nazione frammentata, che rischia di sfaldarsi ancora.
Un’instabilità legata anche ad attività di contrabbando e di traffico dei migranti. È in Libia che si incanalano le rotte dei migranti provenienti dall’Africa occidentale, centrale e orientale. Le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, come evidenziato da Medici senza frontiere. Violazioni perpetrate dai trafficanti di esseri umani e da milizie libiche (si veda il rapporto di MSF del 2022).
L’Algeria, principale fornitore di gas
Ma dobbiamo guardare a un altro paese africano per individuare il principale fornitore di gas dell’Italia. Parliamo dell’Algeria. Attraverso Transmed, il gigante algerino degli idrocarburi, Sonatrach, esporta gas in territorio italiano, passando dalla Tunisia. Gli accordi tra Italia e Algeria si erano già rafforzati con Mario Draghi, portando le importazioni di gas algerino a 20 miliardi di metri cubi nel 2022. I recenti memorandum firmati dal governo Meloni rafforzano la dipendenza energetica dell’Italia verso un’altra nazione fortemente instabile. E ancora una volta, come nel caso della Libia, è evidente che gli investimenti nel settore degli idrocarburi non saranno ridimensionati per contrastare la crisi climatica e il riscaldamento globale. Lo stesso primo ministro algerino, Aïmene Benabderrahmane, ha evidenziato l’importanza della valorizzazione dell’industria petrolchimica nazionale.
Neocolonialismo italiano in Africa?
In questa rete di colloqui e accordi, si aggiungono gli incontri tra i rappresentanti delle istituzioni italiane e il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali e il presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud.
Libia, Etiopia, Somalia. Ad esclusione dell’Algeria (che era sotto il dominio francese), sembra che l’Italia stia in qualche modo ricomponendo il vecchio puzzle del colonialismo di un tempo che fu (tra la fine dell’800 e inizio ’900). Vedremo se queste relazioni diplomatiche e politico-economiche andranno oltre la cortina fumosa di uno sfruttamento più o meno velato, delle risorse minerarie dei paesi africani, e di manodopera a basso costo.
Ricordiamo che il colonialismo – non solo italiano – venne giustificato definendolo come una sorta di missione umanitaria volta a inserire l’Africa nella cosiddetta “civiltà”. Tra i fattori che hanno stimolato l’espansione coloniale nel corso del XIX e XX secolo vi erano l’accesso alle materie prime e l’apertura di nuovi mercati. Se si torna indietro nella Storia si possono intravvedere varie similitudini col presente. Risorse minerarie, nuovi mercati, commerci, investimenti, sfruttamenti ritornano ciclicamente, mentre rimangono il più delle volte inascoltate le voci e i bisogni essenziali delle popolazioni africane.
Silvia C. Turrin