Il neologismo “permacultura” è la sintesi di due parole: permanente e agricoltura. È cioè il tentativo di praticare un’agricoltura, opera dell’uomo, con i criteri da sempre usati dalla natura, un’agricoltura cioè in grado di durare nel tempo, con un impatto ambientale quasi prossimo allo zero.

Mentre l’agricoltura moderna ha bisogno di fertilizzanti, di pesticidi, di continua irrigazione, la permacultura studia il modo in cui la natura fa crescere la vegetazione anche in climi estremi, in suoli al limite della fertilità, come i deserti o le distese semi-ghiacciate.

Il concetto di permacultura è stato sviluppato a partire dagli anni settanta da due biologi e agronomi australiani: Bill Mollison e David Holmgren. L’Australia presenta habitat in cui la vitalità della natura ha prevalso sul clima ostile, su suoli privi di nutrienti. In Australia da milioni di anni il ciclo vitale di certe piante si perpetua, auto-fertilizzando i suoli e proteggendoli dai processi di degrado.

Il nord del Kenya presenta paesaggi che richiamano un po’ la parte nord-occidentale dell’Australia, desertica e desolata.

 

Joseph Lentunyoi (nella foto) è un maasai che ha fatto studi di agronomia in Australia. Lì ha conosciuto la “permacultura”, e, ritornato in Kenya ha deciso di applicarla alla sua regione di origine, creando il Laikipia Permaculture Center. Due Ong italiane, Ipsia e Celim, da anni collaborano e sostengono le sue iniziative.

I maasai sono conosciuti come i pastori nomadi dell’Africa Orientali. Ma ci si dimentica che le donne maasai da sempre praticano un’agricoltura semi-sedentaria. È proprio alle donne maasai che Lentunyoi si è anzitutto rivolto. E con il sostegno economico delle due Ong ha proposto loro alcuni progetti.

Il primo riguarda la valorizzazione di un cactus locale, simile al fico d’India, che cresce naturalmente nelle steppe desertiche kenyane. Da un lato ostacola l’allevamento delle mucche, perché è infestante e rende difficoltosa la crescita delle erbe. Dall’altro però rappresenta una risorsa economica, perché può essere usato per produrre marmellate, succhi e una specie di vino. Questo cactus non ha bisogno di alcuna cura da parte delle donne contadine, se non il rispetto del suo equilibrio biologico con l’ambiente in cui cresce. Conoscendolo, rispettandolo e assecondandolo, esso cresce spontaneamente e offre i suoi componenti per la trasformazione e l’uso umano.

Un altro vegetale spontaneo sfruttato dalle donne maasai è una specie locale di aloe, che può essere utilizzato per la produzione di creme, saponi e lozioni per il corpo. Infine la produzione di miele di cui c’è grande domanda sul mercato locale: sono stati distribuiti centinaia di alveari, e le api si sono adattate al clima e all’ambiente, e si nutrono del nettare dei piccoli fiori che anche in queste steppe non mancano mai.

Il progetto avanza, e la prossima tappa sarà quella di realizzare degli orti comunitari, ma anche la trasformazione di altri vegetali che crescono spontanei, e di avviare altre attività generatrici di reddito per le donne.

Gli uomini maasai all’inizio snobbavano queste attività agricole, contrarie alla loro cultura ancestrale, ma ora che le siccità ricorrenti e i cambiamenti climatici globali rendono più difficoltosa la pastorizia, apprezzano il lavoro delle loro donne, e il fatto che queste attività rappresentino un’integrazione e un’alternativa all’allevamento del bestiame.

Joseph Lentunyoi spiega che nella permacultura “l’utilizzo di tecniche agricole non impoverisce il suolo, e si punta su piante locali che meglio si adattano al clima e hanno valori nutrizionali più alti; in questo modo si vengono a creare micro ambienti, in cui sono presenti anche alberi, arbusti, piccoli vegetali, frutti, ortaggi, piante che portano vantaggio ad altre piante, secondo il modello della food forest, ovvero della foresta-giardino, in cui si sviluppa un habitat autosufficiente di produzione di cibo, energia e salute”.

La permacultura è un metodo agricolo che si sta diffondendo nel mondo, anche in zone dove i suoli sono naturalmente fertili e permettono la crescita una gran varietà di vegetali. Essa non è solo una tecnica agricola, ma una visione etica del rapporto dell’uomo con la natura. Essa favorisce l’integrazione delle antiche conoscenze agricole locali con le tecniche moderne. Il fine è quello di ottenere l’autosufficienza energetica, alimentare e idrica.

Conclude Lentunyoi: non possiamo fare agricoltura come se fosse solo una tecnica, ma dobbiamo sempre considerare che lavorando la terra noi esseri umani stabiliamo una relazione vitale con la natura.

Fonte: Mondo e Missione di agosto-settembre 2020

A cura di p. Marco Prada

Per approfondire:

Foto: dai siti di Ong:  lpct.or.ke, gfime.org, otepic.org
Le penultime due: Diego Delso, CC-BY-SA 4.0, dal sito Permies.com