Il 13 novembre è una nuova data festiva per il Kenya. Non si tratta di celebrare un anniversario, bensì si tratta di agire concretamente per il bene non solo della nazione keniota, ma dell’Africa e del pianeta. Infatti, questo giorno festivo è dedicato interamente alla piantumazione di alberi in tutto il Kenya. Tale scelta da parte del governo di Nairobi, si inserisce nel più ampio e ambizioso programma volto a piantare 15 miliardi di alberi entro il 2032.
In passato, il Kenya ha visto ridursi drasticamente la copertura forestale, che attualmente è circa il 7% del territorio. Attraverso una serie di investimenti il governo intende aumentarla, portandola al 10%.
La tutela dell’ambiente, nonché la valorizzazione del paesaggio e degli ecosistemi fanno parte delle priorità del programma nazionale voluto dall’attuale presidente William Ruto (eletto nel settembre 2022).
In realtà, alcuni mesi fa, aveva fatto scalpore la decisione di Ruto ed entourage politico di annullare il divieto di sfruttamento delle foreste varato nel 2018. Quel divieto venne imposto per evitare pratiche di disboscamento illegale. La scelta di Ruto ha destato svariate critiche, sia all’interno del Kenya, sia oltre i confini dell’Africa.
Nel corso del mese di ottobre, a sorpresa, il tribunale per l’Ambiente e il Territorio di Nairobi ha sospeso proprio quella decisione del presidente William Ruto di consentire la ripresa del disboscamento dopo più di cinque anni di divieto.
Perché piantare alberi è fondamentale, non solo per il Kenya
Piantare alberi è uno dei metodi più semplici, efficaci e naturali per assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera e limitare così il riscaldamento globale. Il global warming, ovvero l’aumento delle temperature del pianeta, si è aggravato sempre più negli ultimi decenni a causa delle attività umane, che producono i famigerati gas serra (come l’anidride carbonica).
Questo eccessivo inquinamento crea quella cappa di smog nell’atmosfera che consente ai raggi solari di scaldare sempre più la Terra. Piantare alberi non risolverebbe certo il problema del riscaldamento globale, perché occorre adottare una serie di cambiamenti, tra cui l’eliminazione completa dell’uso delle energie fossili altamente inquinanti (petrolio, gas e carbone) e l’adozione di fonti energetiche sostenibili. Tuttavia, ritornare a riforestare vaste zone del pianeta significa ripristinare ecosistemi, migliorare la qualità dell’aria, mitigare il clima, evitare la cementificazione, creare habitat più sani per la specie umana e per le specie animali, valorizzare la biodiversità.
Come affermò Wangari Maathai:
“Sono le piccole azione che fanno i cittadini. È questo che farà la differenza. La mia piccola azione è piantare alberi”
Ricordare il “movimento della cintura verde”
Il Green Belt Movement (il movimento della cintura verde) venne fondato nel 1977 da Wangari Maathai. Si tratta di un movimento ecologista che si pone come obiettivo principale quello di contrastare la deforestazione, non solo in Kenya ma in altre zone dell’Africa.
In oltre quattro decenni di attività, il Green Belt Movement ha consentito di piantare in vari paesi africani circa 50 milioni di alberi. Ciò a permesso al contempo di migliorare la vita degli agricoltori; inoltre ha promosso l’autonomia delle donne.
Proprio per il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla fratellanza, Wangari Maathai è stata la prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la pace, nel 2004.
Il suo coraggio, la sua determinazione e il suo lavoro rimangono un faro di luce per quanti agiscono a favore della protezione delle foreste e dell’ambiente in Africa.
a cura di Silvia C. Turrin