Chissà se le nuove generazioni africane conoscono la figura di Kwame Nkrumah, nonché i suoi sforzi per realizzare l’ideale di un’Africa unita? La pervasiva tendenza a guardare al futuro (che rimane incerto, precario, fondamentalmente instabile), senza avere radici culturali e storiche ben salde, porta a realizzare percorsi nebulosi, sospesi tra un passato non ancora elaborato e un avvenire che rimane irto di ostacoli. Kwame Nkrumah è stato una figura politica, nonché un intellettuale africano che i giovani, non solo africani, dovrebbero conoscere/riscoprire.
Primo Presidente del Ghana indipendente e voce autorevole del movimento panafricanista, Kwame Nkrumah fu tra i pochi dirigenti africani a credere e a desiderare ardentemente un’Africa davvero unita. Se soltanto parte delle sue idee fossero state ascoltate e realizzate dai suoi colleghi africani tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, l’Africa sarebbe forse diventata un attore mondiale forte, non più diviso in fazioni, ma unito dagli interessi comuni dei suoi Stati. Utopia? Idealismo? O semplicemente una nuova via alternativa, elaborata saggiamente da colui che ha fatto scattare la scintilla del processo di decolonizzazione in Africa?
A tu per tu con il razzismo
Kwame Nkrumah nacque il 21 settembre 1909 a Nkroful, quando ancora il Ghana si chiamava Costa d’Oro ed era sotto il dominio britannico. Brillante giovane, appassionato agli studi, dopo aver insegnato per alcuni anni nel suo paese, decise di specializzarsi partendo per gli Stati Uniti. Era il 1935. Tra Philadelphia e New York, Nkrumah nel 1943 riuscì a ottenere un posto come assistente in storia afro-americana.
Queste esperienze statunitensi gli permisero di conoscere in prima persona il razzismo che vigeva negli strati della società e della politica americana. Essere neri, negli Stati Uniti, voleva dire: precarietà e discriminazione. Una condizione molto simile a quella dei popoli africani sotto il giogo coloniale: sfruttamento e razzismo imperversavano in maniera ancor più cruenta in Africa. Durante la sua permanenza negli Stati Uniti, Nkrumah iniziò a interessarsi alle idee panafricane.
Nel 1945 Nkrumah partì per Londra e fu qui che ebbe modo di affinare ancor di più la sua visione politica, grazie agli influssi di George Padmore, altro importante esponente del movimento Panafricanista. Insieme a Padmore, Nkrumah organizzò nello stesso 1945 il Congresso panafricano di Manchester (il quinto nella storia del movimento). Tale Congresso segnò una demarcazione fra due epoche. Emerse infatti chiaramente come l’epoca colonialista stava volgendo al termine; era venuto il tempo dell’autodeterminazione dei popoli. Come sottolineò lo stesso Nkrumah nella sua Autobiografia, quel Congresso consolidò l’idea di nazionalismo africano, grazie a una forte presa di coscienza politica. Ormai lo slogan del movimento Panafricanista era sempre più “L’Africa agli Africani”.
Ritorno in patria
Nel gennaio 1948, Nkrumah, forte delle sue recenti esperienze nel mondo anglosassone, fece ritorno a Accra ormai fortemente politicizzato. Proprio per la sua intensa attività Nkrumah venne arrestato dalle autorità britanniche locali. Rimase in carcere per circa due mesi. Ciò non lo indebolì affatto, anzi, lo rese ancora più determinato nell’ottenere l’indipendenza della sua patria. Dopo aver lanciato campagne di boicottaggio e di disobbedienza civile, venne nuovamente arrestato, ma questa volta le manifestazioni politiche riuscirono a scuotere lo status quo costruito dai britannici.
Grazie a una falla giuridica, Nkrumah poté candidarsi alle elezioni, ottenendo il 95% dei voti e una volta libero gli fu affidato il compito di formare il governo, sempre però sotto l’orbita britannica. Nel corso dei tre anni successivi alla sua elezione, Nkrumah riuscì a realizzare importanti politiche nei settori dell’educazione e della sanità. Nel 1954 grazie a lui le donne ottennero il diritto di voto. L’anno successivo, nel 1955, il suo nome e la sua statura politica si affermarono nel mondo afro-asiatico, tramite il suo intervento alla Conferenza di Bandung, evento storicamente importante dal cui si originò il gruppo dei Paesi non-allineati (sganciati cioè dalle sfere di influenza tipiche della Guerra Fredda).
Finalmente l’indipendenza
Grazie alla lungimiranza e alle capacità politiche di Nkrumah, la Costa d’Oro riuscì a smantellare la vecchia cappa del colonialismo. Il 6 marzo 1957 divenne indipendente col nome di Ghana, riportando così alla luce l’antica reminiscenza del primo Regno dell’Africa Occidentale (in auge tra il III e il XIII secolo). Un’indipendenza ufficializzata il 1° luglio 1960, quando il Ghana divenne una Repubblica. Ma Nkrumah era già proiettato verso l’idea di una “nuova Africa”, ovvero un’Africa unita, al fine di dimostrare al mondo intero che “l’africano è capace di gestire i propri affari”.
L’indipendenza di una nazione africana, per Nkrumah voleva dire automaticamente rompere definitivamente con il neocolonialismo. Infatti, anche se una nazione diviene formalmente indipendente, di fatto e in modo indiretto, un certo controllo della vecchia madrepatria in alcuni casi permane (basti considerare gli interessi francesi in varie zone dell’Africa occidentale, che ancora perdurano).
Superare le divisioni
Nkrumah, una volta diventato Presidente della Repubblica del Ghana, cercò di promuovere il progetto di un’Africa unita. Secondo la sua visione, se le nazioni africane avessero perseguito un progetto comune non sarebbero state più facili prede delle nazioni straniere e delle multinazionali. Solo sviluppando un’Africa unita si sarebbe rotto il meccanismo del “divide et impera” (slogan politico deegli antichi romani, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, ma ampiamente applicato nel continente africano da svariate nazioni, dalla Francia al Belgio, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti). Quando un’entità politica/nazionale è divisa risulta più facilmente controllabile.
Per questo Nkrumah indicò una serie di punti da attuare (inseriti anche nel suo libro Africa must unite!), per dar vita a una diplomazia comune, una difesa comune, una pianificazione economica e industriale continentale, un mercato comune e una Banca Centrale africana. In pratica, Nkrumah, già negli anni ’60 del XX secolo, indicava la via di un’Africa davvero unita. La visione di Nkrumah era ampia, poiché suggeriva agli stati africani di rinunciare alla sovranità nazionale per abbracciare in toto l’unità africana: solo così, secondo Nkrumah, si sarebbero smantellate le frontiere e le divisioni ereditate dal colonialismo.
La fine di un sogno
Per le sue idee legate al socialismo africano, per le sue critiche rivolte alle multinazionali e alle potenze straniere che ancora agivano (e agiscono) in Africa a unico e proprio vantaggio, per il suo continuo porre l’accento al panafricanismo, Nkrumah venne tacciato di comunismo. Ma questa “etichetta” deve essere inserita nel contesto geopolitico di quegli anni, caratterizzati dai subdoli giochi legati alla Guerra Fredda.
Nkrumah iniziò a indebolirsi quando il suo caro amico Patrice Lumumba si trovò in una situazione estremamente delicata. Lumumba e Nkrumah condividevano molte idee. In particolare, entrambi volevano agire unicamente nell’interesse dei cittadini africani, senza scendere a patti e a ricatti stabiliti a priori da entità straniere, nazioni o multinazionali che fossero. Considerata la crisi in Congo, dopo l’assassinio di Lumumba e dopo la secessione del Katanga (in cui erano evidenti gli effetti della balcanizzazione e dei tanti interessi geopolitici in gioco), Nkrumah fu uno dei pochi dirigenti africani a fare un accorato appello alle Nazioni Unite affinché tutelassero l’effettiva indipendenza del Congo.
Con l’ONU impotente, le grinfie del neocolonialismo squarciarono il sogno di Lumumba e anche quello di Nkrumah. Rimasto isolato in Africa, poiché molti dirigenti politici africani erano più orientati verso una politica di compromessi con le vecchie nazioni coloniali, dopo circa cinque anni di presidenza, Nkrumah venne destituito da un colpo di Stato militare (sostenuto forse dalla CIA come scrisse Nkrumah stesso nel libro “Dark days in Ghana“), avvenuto mentre si trovava in Cina. Dopo un periodo da esiliato in Guinea, governata dall’amico Sékou Touré, Kwame Nkrumah morì il 27 aprile 1972, in un ospedale di Bucarest, lontano dalla sua terra d’origine, divenuta indipendente proprio grazie agli ideali “visionari” di quest’uomo che credeva fermamente nell’unità africana.
Desideriamo concludere questo breve articolo dedicato alla figura di Nkrumah con queste sue parole riferite alla situazione in Congo negli anni ’60 del secolo scorso. Parole che potrebbero essere pronunciate anche oggi da chi osserva la situazione congolese/africana con gli occhi di un panafricanista.
“L’importanza strategica del Congo deriva dalle sue caratteristiche geografiche. Le potenze straniere che si dicono protese verso “la difesa dell’Africa” – termini con cui designano in realtà la difesa degli interessi principalmente contrari al popolo africano – considerano chiaramente il Congo come la chiave del controllo militare dell’Africa. […] Secondo le teorie geopolitiche di persone come Mackinder e Haushofer, lo spazio del Congo procura la garanzia di un dominio sull’Africa intera”. (dal volume Challenge of the Congo, di Kwame Nkrumah – 1967).
Silvia C. Turrin
Letture consigliate:
- Kwame Nkrumah, (a cura di) Amzat Boukari-Yabara, CETIM, Ginevra (Svizzera)
- Africa must unite!, Kwame Nkrumah, EIR, 2011 (difficile reperibilità)
- Consciencism: Philosophy and Ideology for De-Colonization, Kwame Nkrumah, Monthly Review Press, 1996
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