La questione della restituzione di molte opere d’arte a vari paesi africani da parte (non solo) della Francia è lunga e annosa. Finalmente, dopo oltre un secolo, 26 capolavori originari dell’antico regno del Dahomey ritorneranno nella loro terra d’origine, conosciuta dal 1975 con il nome di Repubblica del Benin.
Pochi paesi africani stanno riottenendo le loro opere d’arte
Nel mese di dicembre del 2020, in piena pandemia, la Francia ha votato e promulgato una legge con cui viene programmato il trasferimento di proprietà definitivo di molte opere d’arte. È da anni che questo tema è molto dibattuto in Francia e nelle sue ex colonie. Già nel 2017, l’attuale Presidente della Repubblica Emmanuel Macron, in visita a Ouagadougou, aveva sollevato la questione impegnandosi nella restituzione temporanea o definitiva dell’importante patrimonio artistico africano saccheggiato durante la fase del colonialismo.
Dopo quella presa di posizione, in questi anni la Francia ha effettivamente restituito ai legittimi proprietari soltanto due opere d’arte. La prima è ritornata in Senegal. In questo caso, si tratta di una sciabola con fodero, che sarebbe appartenuta a El Hadji Omar Tall, erudito musulmano, nonché fondatore dell’Impero Tekrur (o Tukulor). Una scelta per certi versi emblematica, dato che El Hadji Omar Tall combatté contro le truppe francesi tra il 1857 e il 1859, per poi firmare un trattato di pace nel 1860. La sua morte rimane misteriosa. Scomparve in Mali, nella zona della falesia di Bandiagara.
Un’altra opera restituita dalla Francia a un paese africano – precisamente al Madagascar – è un oggetto reale, che appartenne alla regina Ranavalona III. Nel novembre 2020, questo pezzo di forma circolare composto da oro e velluto ha fatto finalmente ritorno entro le mura del Palazzo della Regina, nella capitale Antananarivo. Il Madagascar ha così, in parte, recuperato un frammento di sovranità nazionale.
Il caso Benin
Rispetto al Senegal e al Madagascar, è il Benin il paese africano che si vede restituire dalla Francia più opere d’arte. In tutto 26. Naturalmente, si tratta di un numero esiguo, considerando i numerosi saccheggi effettuati dai colonizzatori, ma è pur sempre un punto di partenza. Le 26 opere d’arte appartengono al tesoro del re Béhanzin, l’ultimo sovrano del regno del Dahomey, rubate nel 1892 dal generale Dodds durante il sacco del palazzo d’Abomey.
Prima che ritornino nella loro terra, queste 26 opere saranno esposte presso il Museo du quai Branly a Parigi, dal 26 ottobre al 31 ottobre 2021. L’ingresso è gratuito (nel limite dei posti disponibili) e si inserisce nella rassegna dedicata alla “settimana culturale del Benin”. Tra le opere esposte vi sono il trono del re Ghézo, le porte del palazzo del re Glèlè, le statue reali antropomorfe dotate di “potere magico”.
La settimana culturale dedicata al Benin, organizzata presso il quai Branly, prevede vari incontri e dibattiti di carattere archeologico, scientifico ed etnografico. Ampio spazio sarà dato al cinema beninese contemporaneo con proiezioni di film e cortometraggi.
La restituzione dell’immenso, prezioso patrimonio africano saccheggiato dagli ex colonizzatori è solo all’inizio. Il cammino è ancora lungo, perché l’arte africana è custodita in vari musei e collezioni private non solo in Francia. Basti pensare ai cosiddetti bronzi del Benin, ovvero placche e sculture che decoravano un tempo il palazzo reale dell’antico regno del Dahomey. Preziosi oggetti trafugati da inglesi e tedeschi.
A Benin City, in Nigeria, è già pronto il progetto di costruzione del Museo Edo dedicato all’arte dell’Africa occidentale, a firma del popolare architetto David Adjaye. L’intento è quello di “riscoprire la storia dell’antico regno del Benin”, e di ospitare, finalmente, tutte le opere d’arte ad esso collegate e trafugate dai colonizzatori.
Silvia C. Turrin
foto: wikipedia.org