Camara Laye nasce nel 1928 a Koroussa, in Guinea, dove il padre, appartenente al lignaggio malinke, lavora come fabbro.
In molte culture dell’Africa occidentale, quello dei fabbri costituisce un gruppo definito su base lignatica, incluso nella classe degli specialisti professionali che ha l’appannaggio della produzione della cultura materiale e della preservazione della memoria orale.
Grazie alla loro abilità di manipolare il fuoco, attività che implica l’acquisizione di poteri mistici potenzialmente pericolosi, i fabbri sono temuti ma anche disprezzati dal resto della società.
Camara passa i primi anni in famiglia, frequentando la scuola coranica. Poi passa alla scuola francese di Conakry, la capitale, e a diciotto anni con una borsa di studio si trasferisce a Parigi, dove scrive nel 1953 il suo primo libro, L’enfant noir.
Benché scriva in Francia, nei primi anni Camara sembra immune dallo spirito di rivolta anticoloniale che muove i suoi connazionali e che porterà al movimento letterario, culturale e politico della Négritude. In lui c’è un forte sentimento di nostalgia per un mondo destinato a scomparire. Il libro ottiene un grandissimo successo.
In Italia è tradotto da diverse editrici, che nel tempo ne modificano titolo e linguaggio, specchio dell’evolversi della mentalità post coloniale.
Un bambino nero (AIEP-Guaraldi, 1993) è una piccola autobiografia. Camara, ormai adulto, racconta la sua vita nel villaggio paterno, i legami stretti di parentela che scandiscono le sue giornate, la soggezione per gli anziani, la paura per le prove iniziatiche.
Si può definirlo un “romanzo etnografico”, nel quale i turbamenti e le paure della società tradizionale, vengono raccontati attraverso desideri concreti delle generazioni post coloniali. Non può non venire subito in mente il romanzo Il crollo, del nigeriano Chinua Achebe.
Il secondo romanzo di Camara Laye, Le ragard du roi (Lo sguardo del re, Patron edizioni, 1983), riprende la prosa lenta e armoniosa, come un incantesimo, del primo libro. Ma il soggetto e la concezione del libro se ne discostano completamente.
Il libro ci introduce in un mondo di simboli magici, è un viaggio interiore alla ricerca di sé. I due termini del conflitto, bianco-nero, sono rovesciati.
È il bianco a dover vagare smarrito in cerca di sé nel mondo della saggezza africana e solo la sua accettazione di tale realtà gli consentiranno di accedere alla grande unione mistica alla quale aspira.
Seguirono i romanzi non tradotti in italiano, Dramouss (1966) e Il maestro della parola (Le maître de la parole, 1978), rifacimento dell’epos di Sundiata, imperatore del Mali.
Dopo Dramouss, che segnò la sua adesione a un impegno socio-politico, Camara Laye si trasferisce a Dakar per opposizione al regime totalitario del presidente guineiano Sékou Touré, e qui muore nel 1980.
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A cura di Ludovica Piombino, Biblioteca Africana Borghero