Mamon o Mammona, secondo l’etimologia aramaica, significa “ciò su cui si può contare”, “qualcosa che dà certezza e sicurezza”.
Questo è stato il dio denaro e potere scelto come protagonista nella fase politica del Niger prima che avvenisse l’ultimo colpo di stato militare (del 26 luglio). Molti osservatori concordano nel definirlo, all’inizio, un colpo di stato da ‘palazzo’ e cioè concepito all’interno del sistema stesso. Assai presto però, sotto la spinta e lo spirito di una parte consistente del ‘piccolo’ popolo e di una porzione dei militari, il colpo di stato si è gradualmente trasformato in qualcosa che, con esitazione, si potrebbe chiamare ‘rivoluzione’.
Una rivoluzione di ‘sabbia’ ma pur sempre una rivoluzione, se per essa intendiamo la sconfessione del dio denaro o Mammona come orizzonte unico della politica nigerina. Le cose, cioè, vanno ben oltre ciò per cui erano state pensate e organizzate. C’è altro che, malgrado la giunta militare al potere, si sta disegnando nel regno del possibile per il popolo nigerino. Forse si tratta dell’ingenua stoltezza di dire no ai vari Mammona che hanno finora dato sicurezza alla politica per rischiare un futuro, appunto, di sabbia.
Ci sono state incertezze, contraddizioni, ambiguità e probabilmente errori commessi in questi primi mesi di transizione. Rifondare le basi stesse su cui poggia il Paese. Una relazione dignitosa e paritaria con l’antica potenza coloniale e con gli altri Paesi. La revisione in termini più rispettosi delle culture locali della Costituzione e, soprattutto, l’interpretazione della politica come il tentativo di coniugare la giustizia con la dignità dei poveri. Tutto ciò si può mettere in un solo e in fondo semplice concetto: la cittadinanza perduta e ritrovata dei nigerini. Sembra essere questo il cantiere sociale di tipo ‘rivoluzionario’ che potrebbe svilupparsi ma nel rispetto di alcune condizioni. Una di queste sarà il passaggio, non immediato, dall’unificazione dei cittadini ‘contro’ un nemico, cosa tutto sommato agevole, per convergere attorno a valori comuni. Ciò implica, ovviamente, la ri-creazione nella società di spazi di dialogo sociale, politico e culturale soprattutto per i giovani che rappresentano la straordinaria maggioranza del popolo. L’altra condizione per il seguito del cantiere sociale, consisterà nel passaggio da un facile ‘nazionalismo’ di stampo autarchico ad una riapertura delle frontiere mentali che vede nell’altro una creatura di sabbia come noi.
In ultimo dovremmo poter citare, nel contesto del cantiere sociale di cui sopra, il ruolo forse determinante degli intellettuali e di coloro ai quali è stato affidato il ruolo della custodia della parola. Diventare i ‘cantori’ del nuovo potere, i giullari di corte o semplicemente i ‘ripetitori’ delle verità ufficiali oppure realizzare con la saggia follia di un tempo il ruolo che loro compete. Il cantiere sociale avrà un futuro a condizione che le parole di coloro a cui sono state confidate dal destino siano sempre e solo di smascheramento di ogni menzogna del potere. Solo così la rivoluzione del Sahel sarà scritta, per una breve eternità, sulla sabbia.
P. Mauro Armanino
Niamey
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