monte kenya

Il monte Kenya, con i suoi 5199 metri, è la seconda vetta più alta dell’Africa (la più elevata è il Kilimangiaro, in Tanzania). Per gli appassionati di trekking e natura, questo rilievo rappresenta semplicemente una cima da scoprire e da scalare, ma per le popolazioni che vivono nelle aree circostanti il monte Kenya è sacro.

Questo vulcano ormai spento si erge imponente quasi sulla linea dell’Equatore (di poco a sud), a circa 190 km da Nairobi. I suoi diversi e peculiari ecosistemi si sono formati nel corso di millenni. Il periodo della sua attività più intensa come vulcano risale fra i 3,1 e 2,6 milioni di anni.

Un’estesa calotta glaciale lo ricoprì per millenni. Fuoco, ghiaccio e vento lo hanno plasmato, infondendogli le forme che oggi possiamo ammirare. Di quell’ampia calotta rimangono una dozzina di piccoli ghiacciai, che si stanno ritirando a un ritmo veloce per effetto del riscaldamento globale.

Le popolazioni locali hanno sempre venerato il monte Kenya, in quanto ritenuto sede della loro divinità. Proprio come avviene in altri luoghi e ad altre latitudini – si pensi per esempio al Kailash in Tibet o al monte Uluru in Australia, o ancora al Fuji in Giappone – questa vetta non è considerata come luogo da sfidare, bensì da onorare.

Il rapporto con la Natura instaurato da popoli con una storia antichissima, come i Kikuyu del Kenya, si basa su un’attitudine volta a un profondo rispetto. Lo testimoniano le leggende che ruotano attorno a questa imponente cima.

I Kikuyu, che vivono lungo i versanti est e sud del monte Kenya, chiamano questa montagna Kirinyaga, “luogo della lucentezza”. Per loro, questa vetta è la sede del dio Ngai, per questo è considerata sacra.

Un’antica leggenda Kikuyu racconta la formazione del monte Kenya

“Quando la terra venne formata, un essere chiamato Mogai plasmò una grande montagna a cui diede il nome di Kere-Nyaga. Dopo di che, la polvere bianca detta “Ira” iniziò a ricoprire la vetta, trasformandosi così nel giaciglio del dio Ngai”.

Anche gli Embu, i Masai e i Wakamba considerano il monte Kenya un sito avvolto da sacralità.

Sono popoli che vedono nella natura la presenza della divinità. Per i Kikuyo il dio Ngai si manifesta nei fenomeni naturali, come il sole, la pioggia, l’arcobaleno, il sole, la luna, le stelle. Anche negli alberi ritenuti sacri i Kikuyo vedono la sua presenza. Tradizionalmente, Ngai viene invocato quando l’equilibrio tra uomo e natura sembra essere spezzato, come nei periodi di siccità o di carestia, e quando si apre una fase particolare del ciclo agricolo.

Ma è soprattutto nelle fasi della vita più importanti che i Kikuyo invocano la benedizione del dio Ngai: in occasione di una nascita, per un’iniziazione, per un matrimonio o quando arriva il momento della morte.

Come ricordava l’ecologista Wangari Maathai, fondatrice del Green Belt Movement e premio Nobel per la Pace 2004 nel suo libro (che consigliamo di leggere) “Solo il vento mi piegherà”:

“Per i Kikuyu, il Monte Kenya […] era un luogo sacro. Tutto ciò che era buono proveniva da lì: le piogge abbondanti, i fiumi, i ruscelli, l’acqua potabile. Sia che pregassero, seppellissero i morti o facessero sacrifici, i Kikuyu si volgevano verso il monte Kenya e quando costruivano le loro case si assicuravano che le porte guardassero in quella direzione”.

Con l’avvento dei colonizzatori, dei commercianti e amministratori europei questa antica visione è mutata, si è ridimensionata, ma la sacralità attorno al monte Kenya non è affatto scomparsa. Basti ricordare il periodo della rivolta dei Mau-Mau contro il colonialismo britannico. Molti rivoluzionari appartenevano proprio al popolo dei Kikuyu e si rifugiavano nelle intricate foreste del monte Kenya, invocando la protezione del dio Ngai.

Silvia C. Turrin

Foto: Wikipedia.com