Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è sempre più convinto che l’Africa possa rappresentare per il suo Paese una straordinaria opportunità per affermare un espansionismo dalle molteplici sfaccettature. Se da una parte sono evidentissimi gli interessi economici, dall’altra occorre tenere in considerazione il quadro geostrategico che il leader turco ha in mente, dalla duplice valenza politica e religiosa.
Si tratta di affermare una versione riveduta e corretta del “paradigma ottomano” in terra africana: un impero che governò anche su gran parte del Nord Africa, in Sudan e in Somalia. Emblematico è quanto avvenuto nella capitale sudanese, Khartoum, lo scorso dicembre in occasione della firma di ben 13 accordi con il presidente Omar Hassan al-Bashir. Il leader di Ankara si è impegnato a ristrutturare l’assai malandato centro urbano dell’isola di Suakin e a finanziarne lo sviluppo turistico locale in cambio dell’installazione – con un contratto di 99 anni – di una grande base militare, ripristinando i vecchi moli dell’impero ottomano sul Mar Rosso. L’accordo tra Sudan e Turchia non è certo ben visto da Israele, dall’Egitto e neppure dai sauditi considerata la stretta alleanza tra Ankara e il Qatar.
Isola di Suakin, turismo e interessi militari
E per questa ragione il governo turco e quello sudanese hanno sfumato il significato militare della partnership preferendo esaltarne il valore commerciale e turistico. Suakin si trasformerà in una sorta di hub del turismo musulmano, consentendo ai fedeli in pellegrinaggio verso La Mecca una piacevole tappa.
Da rilevare che poche settimane dopo la visita di Erdogan in Sudan il Qatar ha stipulato con il governo di Khartoum un accordo del valore di 4 miliardi di dollari per la riapertura del porto commerciale di Suakin. Si va affermando un asse turco-qatariota-sudanese, i cui governi condividono il progetto della diffusione dell’islam politico secondo l’ideologia dei Fratelli musulmani.
Le mire egemoniche di Erdogan interessano l’intero continente. Frequenti le sue visite nell’Africa subsahariana. Nel 2015 è stato infatti in Somalia, Etiopia e Gibuti; nel 2016 in Uganda e in Kenya; nel 2017 in Sudan e in altri 5 Paesi africani, mentre quest’anno è già stato in Algeria, Mauritania, Senegal e Mali. E quando viaggia il presidente turco è, ovviamente, accompagnato oltre che da diplomatici da una corposa delegazione di uomini d’affari.
A questo proposito, è bene ricordare che nel 2005 alla Turchia è stato accordato lo status di osservatore all’interno dell’Unione Africana, mentre nel 2007 il governo di Ankara è stato riconosciuto come membro non regionale alla Banca africana dello sviluppo, uno status che consente alle imprese turche operanti in Africa di aggiudicarsi l’appalto di importanti progetti infrastrutturali.
Concorrenza con i cinesi
Allora cosa sta veramente bollendo in pentola? Durante una conferenza stampa con l’omologo mauritano Mohamed Ould Abdul Aziz a Nouakchott, capitale della Mauritania, Erdogan ha dichiarato apertamente di voler promuovere “un nuovo ordine mondiale”.
Francamente, neanche i cinesi sono arrivati a tanto e comunque la Turchia sta dando filo da torcere in Africa anche all’Impero del Drago. Basti pensare alla linea ferroviaria di 522 chilometri che in Tanzania collegherà presto Dar es Salaam alla capitale Dodoma, realizzata dall’impresa turca Yapi Merkezi. L’attuale presidente tanzaniano John Magufuli, diffidente nei confronti delle commesse cinesi, ha rotto l’accordo che il suo predecessore aveva stipulato con la Exim Bank di Pechino, che prevedeva un finanziamento di 7,6 miliardi di dollari.
Un mix di diplomazia e partenariati economici che sta trasformando la Turchia in un nuovo attore di peso in Africa. La penetrazione è a tutto campo e interessa anche la regione del Sahel. Qui Ankara ha deciso di allestire un nuovo dispositivo militare congiunto con i governi del Mali, della Mauritania, del Burkina Faso, del Niger e del Ciad.
Africani emigrati a Istanbul
Le visite di Erdogan in Africa, e l’immagine di paese moderno e evoluto che la Turchia dà di sé sui media africani, rendono attraente l’immigrazione dall’Africa verso quel Paese. Facilitata anche dall’assenza di grandi ostacoli burocratici alla regolarizzazione della propria presenza in Turchia.
Mustafa è senegalese, e per 15 anni ha percorso l’Europa, Francia, Spagna, Italia. Ora si è stabilito a Istanbul, dove si guadagna da vivere come venditore al mercato nero. “Qui si trova tutto, e per noi la vitaè migliore che in Europa. I prodotti sono meno cari, e si trova sempre una via d’uscita”.
Il numero degli africani in Turchia è in costante aumento, ma è un fenomeno che i media locali non riportano, occupati come sono dai profughi siriani.
La comunità più numerosa è quella senegalese. Arrivano qui passando dalla Grecia. Ma gli africani si lamentano di un certo razzismo diffuso, e di alcune lentezze amministrative nell’ottenere un posto di lavoro regolare. Le donne si lamentano di aver subito molestie sessuali da uomini turchi, che le trattavano da prostitute.
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Giulio Albanese, Avvenire, 22 giugno 2018
Foto: ispionline.it; bitaf.otg