Le acque del Nilo trasportano il prezioso limo che ha reso fertile l’Egitto, e gli ha permesso di diventare la prima grande civiltà mondiale. Ma le acque del Nilo hanno trasportato anche idee, invenzioni, credenze, che hanno messo in comunicazione popoli diversi e lontani del continente africano.
Il Nilo ha due sorgenti: la più lontana ha origine dalle acque del Lago Vittoria, nel cuore dell’Africa. Col nome di Nilo Bianco questo ramo attraversa l’Uganda, raccogliendo acque da Tanzania, Burundi e Ruanda, per poi immettersi nei due Sudan. La seconda sorgente è sull’altopiano etiopico, nel Lago Tana. Questo ramo è chiamato Nilo Blu. I due rami si congiungono nella città di Khartoum, e poi superano varie cataratte e bagnano l’Egitto.
Queste acque sono testimoni di una storia millenaria, una storia tutta africana. Africana, nera, è infatti la civiltà egizia, più nessuno oramai lo mette in dubbio. Studiosi di diverse discipline oggi concordano che la cultura dei faraoni ha la sua origine nell’Africa Nera. Una scoperta archeologica italiana lo conferma. Nel 2002 Massimo e Jacopo Foggini si fanno guidare dall’ex-colonello egizio Ahmed Mestekawi nell’esplorazione del Gilf Kebir, un vasto altopiano roccioso del Sahara, grande come la Sicilia, posto a cavallo di Egitto, Sudan e Libia.
Un posto impervio e dimenticato, dove decenni prima era stata scoperta la cosiddetta Grotta dei Nuotatori, un sito di pitture rupestri. Non molto lontano, quasi per caso, i due italiani entrano in un’altra grotta, nascosta nella montagna, larga una ventina di metri. Migliaia di pitture ricoprono interamente le sue pareti: scene di caccia, di danze, di riti religiosi, di attività di pesca in riva a un piccolo lago.
È la vita quotidiana di un popolo del neolitico, cacciatori e agricoltori vissuti tra dodicimila e ottomila anni fa, quando il Sahara era una fertile prateria. Da loro, e da altri popoli scesi verso la valle del Nilo sarebbe nata la civiltà egizia, quando 5 mila anni fa cambiò il clima nel Sahara.
Gli antichi egizi sono sempre stati in competizione con i nubiani. Questi erano un popolo africano, fondatori dei Regni di Kush, come li chiamavano gli egizi, estesi nella piana alluvionale creata dall’ansa del Nilo dopo la terza cataratta, nell’attuale Sudan settentrionale. Il primo di essi fu il Regno di Kerma, a cui si succedono quelli di Napata e di Meroe. La civiltà nubiana si sviluppa da 3° millennio a.C. fino all’inizio delle nostra era, e poi scompare. Rimasta a lungo ignota al mondo, è stata riscoperta grazie agli scavi archeologici del secolo scorso, e alla decifrazione dei testi egizi scritti in alfabeto geroglifico.
La lingua dei nubiani oggi resta ancora in gran parte un mistero. Rimangono ancora in piedi notevoli monumenti funerari e religiosi, come il tempio Deffufa a Kerma, da cui son emersi molti oggetti della vita quotidiana. Si sa così che era diffuso l’artigianato (ceramica, cuoio, metallurgia) e la pastorizia. I ricchi venivano sepolti insieme a teste di bovino, per marcare il loro status sociale nell’aldilà. Nelle terre irrigate si coltivava il sorgho e il miglio, ed era molto praticato il commercio con i paesi interni dell’Africa, da cui provenivano oro, avorio, incenso, ebano, esportati fino in Grecia e a Roma.
Il regno etiope di Aksum
La Bibbia cita la regina di Saba, venuta dall’Africa ad ascoltare la saggezza di Salomone. Gli storici la situano in un regno dell’altopiano etiopico-eritreo, che chiamano Aksum. I resti più antichi sono le rovine del tempio di Yeha, che risale all’8° secolo a.C., e che presenta delle similitudini con l’architettura dell’Arabia del Sud. In quel punto la riva africana del Mar Rosso e quella araba sono molto vicine, ed è probabile che si sia stato un incontro di popolazioni che ha sviluppato la civiltà di Aksum.
Di essa rimangono come testimonianza del suo splendore le steli giganti, intagliate da un solo blocco di pietra. Esse avevano una funzione funeraria: marcavano all’esterno i siti sotterranei in cui erano scavate le tombe dei sovrani. Le più alte raggiungono 30 metri. Aksum raggiunse il suo apogeo nei primi secoli della nostra era, ed ebbe contatti sia con la Nubia e l’Egitto, per mezzo della valle del Nilo, sia con la penisola arabica. Gli aksumiti si convertirono al cristianesimo a partire dal 4° secolo, al tempo del re Ezana, e fino ad oggi, grazie alla liturgia, si è conservata l’antichissima lingua ge’ez.
Erano buoni naviganti e il loro principale porto era Adulis. Archeologi inglesi nel 19° secolo hanno ritrovato i suoi resti a 60 km a sud di Massawa. Lo storico romano Plinio il Vecchio lo definisce il più importante emporium del Mar Rosso, e cita le grandi quantità di avorio africano che vi transitavano. È probabile che da quel porto partissero anche elefanti delle coste africane, destinati al re ellenista Tolomeo II (3° secolo a.C.), il quale li addestrava per la guerra.
p. Marco Prada
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