In molti Paesi africani, i riti pasquali sono scanditi da cerimonie religiose e da momenti di condivisione. Alcune feste sono simili a quelle organizzate in Europa, altre sono peculiari alle singole comunità. Il filo comune rimane la celebrazione della Resurrezione di Gesù. Vediamo di seguito le tradizioni di Pasqua in Africa, compiendo un viaggio a tappe in quei luoghi dove la fede rimane ancora forte.
Il nostro itinerario parte dal Senegal. Qui le comunità cristiane festeggiano la Santa Pasqua offrendo ai loro vicini il Ngalakh. Si tratta di un cibo da sempre associato alla Pasqua. Esso è infatti simbolo di fraternità, di pace e di armonia. Il Ngalakh è un piatto dolce, a base di miglio, zucchero, crema di arachidi, acqua di fiori d’arancio, uvetta e frutto del baobab, ed è generalmente servito con cocco grattugiato e fette di banana.
I cristiani lo preparano con attenzione e cura, per poi condividerlo con la comunità musulmana il Venerdì Santo. Le origini esatte si perdono nella notte dei tempi. È certo che si tratta di un’usanza vecchia di secoli.
Il ngalakh, conosciuto in tutto il Senegal, è un cibo usato per consolidare i legami di buon vicinato tra cristiani e musulmani.
Anche in Burkina Faso c’è l’usanza di condividere con i vicini il cibo preparato il giorno di Pasqua.
In Ruanda e nella Repubblica Democratica del Congo si festeggia la Risurrezione di Gesù riunendo tutta la famiglia e preparando insieme cibi tradizionali, per rafforzare i legami parentali.
Ci spostiamo in Nigeria dove vengono organizzate processioni e riti religiosi tipici della Pasqua cristiana. Anche qui, le famiglie si riuniscono e condividono il pranzo. Tra i cibi più diffusi vi è il riso Jollof, unito a legumi e a carne di pollo.
Il nostro itinerario fa tappa in Costa d’Avorio. Occorre spostarsi nelle regioni centrali del Paese ed entrare nella comunità dei Baoulè per trovare altre usanze.
Qui la Pasqua viene chiamata “Paquinou”. Questa festa, per i Baoulé, è un’occasione ideale per ritornare nella terra d’origine (corrispondente all’antico Regno di Ashanti), visto che molti di loro sono costretti ad allontanarsi da casa per lavoro.
Il tempo pasquale è dunque propizio per rientrare nel villaggio natale e per rivedere i familiari. È anche un’opportunità per trovare soluzioni ai conflitti, per dar vita a nuovi progetti di sviluppo e partecipare a vari incontri comunitari.
I Baoulé fanno parte del gruppo degli Akan. Gli Akan celebrano i riti pasquali con danze tradizionali, dove protagoniste sono le maschere chiamate “Goli”. Le loro danze permettono di creare un ponte con il mondo invisibile e con gli antenati; inoltre, promuovono la coesione sociale all’interno della comunità.
La nostra ultima tappa è l’Etiopia, dove le celebrazioni pasquali assumono un carattere particolare. Qui la Pasqua è conosciuta con il nome di Melkam Fasika.
La Chiesa cristiana qui segue la liturgia ortodossa, per cui la data non segue quella associata al calendario gregoriano, bensì ci si basa sul calendario solare detto “giuliano”, poiché diffuso nell’Antica Roma da Giulio Cesare.
La festa di Fasika segna la fine di un lungo periodo di digiuno, che dura 55 giorni: un periodo chiamato Hudade o Abye Tsome. Le celebrazioni più suggestive si svolgono presso il complesso religioso di Lalibela.
Concludiamo questo scritto con le parole di padre Donald Zagore (SMA), teologo ivoriano:
“La Pasqua deve diventare per l’Africa uno stato mentale permanente, un modo di pensare, un canale d’azione, un’etica nella quale l’essere umano si sviluppi e si realizzi”.
A cura di Silvia C. Turrin