Nella Chiesa cattolica del Sud Sudan i catechisti sono la spina dorsale dell’evangelizzazione. Il numero di sacerdoti, religiosi e religiose è minimo rispetto al numero dei fedeli.

Prendiamo la diocesi di Malakal: copre circa un terzo del territorio nazionale e conta appena 15 preti locali e una decina fra missionarie e missionari. Le sedi delle parrocchie sono nelle città, mentre decine di cappelle, rette da catechisti, offrono un servizio capillare nei villaggi.

Il termine catechisti rispecchia anche il genere perché nel paese si tratta in stragrande maggioranza di uomini. Una situazione quasi all’opposto di quella italiana! Ci sono tuttavia tentativi per equilibrare la situazione favorendo la partecipazione delle donne. Pensare che a una donna venga data la responsabilità di una cappella è prematuro in questo contesto culturale, ma le catechiste possono utilmente contribuire all’insegnamento.

Di recente ho avuto occasione di partecipare al processo di presentazione delle donne catechiste al campo Onu per i rifugiati di guerra a Juba, la capitale. Lo scorso anno il parroco, padre Federico Gandolfi (Ordine frati minori), ha deciso di fare un passo in avanti e preparare il primo gruppo. Per la formazione ha chiesto la collaborazione mia e quella di un’altra suora.

Le candidate erano entusiaste, ma si trattava anche di convincere i catechisti che una tale innovazione era utile e necessaria. In privato, qualcuno di loro obiettava che le donne non avevano mai ricoperto quel ruolo. Un incontro con i catechisti e le candidate ha appianato le difficoltà avanzate, a dire il vero, da una minoranza.

Quando l’insegnamento delle catechiste è stato paragonato a quello delle mamme con i bambini più piccoli ed è stato fatto notare come le madri abbiano esperienza nel trasmettere contenuti ai giovanissimi, l’atmosfera si è distesa.

Oggi le catechiste hanno un ruolo attivo nelle quattro cappelle del campo, con il benestare di tutti. Chi in precedenza aveva obiettato che donne nella catechesi non erano parte della loro tradizione, ora quando ci sono incontri organizzativi elenca tranquillamente le catechiste fra coloro che vi partecipano!

A volte è semplicemente una paura istintiva della novità che blocca, o una chiusura preconcetta. In questo caso, una volta avvenuto il cambiamento non si notano inconvenienti degni di nota per nessuno. C’è invece il vantaggio di vedere raccolte le decine di bambini delle cappelle a imparare le preghiere di base, ciò che prima difficilmente accadeva.

L’evangelizzazione e l’educazione cristiana non beneficiano di esclusioni, ma piuttosto dell’integrazione delle forze.

Nell’ambiente culturale sud-sudanese, la piccola resistenza alle donne catechiste si inquadra in un contesto sociale che tradizionalmente favorisce ruoli femminili limitati alla famiglia e alla gestione della casa. La situazione va però cambiando, specie da quando l’Splm (il Movimento per la liberazione del popolo sudanese – il partito al governo) ha introdotto la quota del 25% per la partecipazione femminile a tutti i livelli amministrativi e governativi.

Benché l’attuazione di tale norma sia ancora ben lontana dal traguardo, è stata data una chiara indicazione per il cambiamento.

Suor Elena Balatti, dal Sud Sudan, su Nigrizia, maggio 2019

Foto: IOM via twitter