Un viaggio impegnativo per papa Francesco, in un Paese, la RD del Congo, dalle mille contraddizioni. Ricchezze naturali spropositate ed estrema povertà, mosaico di etnie ed infinite guerre tribali. Ma la Chiesa è vivace, è ben radicata nella vita della gente, non ha paura di dire la verità ai politici corrotti. Il papa mette a fuoco le cause dei mali del Congo ed offre umilmente la sua parola, per trovare soluzioni alla luce della fede.
La Repubblica Democratica del Congo è un paese enorme, infinito: 2,3 milioni di km quadrati di superficie, 8 volte l’Italia, per 108 milioni di abitanti. Una Chiesa cattolica da un passato secolare, che rimonta all’evangelizzazione del Regno del Congo nel 16° secolo. Oggi i cattolici sono 52 milioni, il 48% della popolazione, organizzati in 48 diocesi, con 62 vescovi, 6.160 preti e 10.500 suore.
Una Chiesa che fa sentire la sua voce quando la democrazia è minacciata e i diritti umani e civili sono calpestati.
“Giù le mani dall’Africa”
Questa Chiesa, questo popolo, hanno accolto con gioia e entusiasmo papa Francesco, pellegrino di pace e di riconciliazione, difensore dei poveri e degli oppressi.
E le sue prime parole, all’arrivo a Kinshasa il 31 gennaio pomeriggio, non hanno deluso: “Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa!”.
Parole che hanno scosso i presenti, il Presidente, il Corpo diplomatico, i rappresentanti della società civile.
Il papa ha denunciato con forza il saccheggio delle risorse naturali operato dalle multinazionali straniere, spesso in connivenza con i governi occidentali e i governi locali corrotti. Risorse naturali che includono le immense materie prime minerarie, ma anche quelle ambientali, incontaminate, che sono però sempre più minacciate dalla bramosia dell’uomo.
Francesco, con voce potente, si dichiara paladino dell’Africa, rifiutando una neutralità di comodo: “l’Africa non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare!”.
La messa all’aeroporto, insieme a un milione di congolesi
Una location non comune per una messa papale, il parterre dell’aeroporto di N’Dolo, il più antico di Kinshasa e rimasto inglobato nella grande megalopoli. Un milione di persone aspettavano, disciplinati, dall’alba l’arrivo del papa.
Una grande ovazione lo ha accolto, e sono cominciati i preparativi della messa, celebrata in rito zairese, un rito che accoglie alcuni aspetti culturali congolesi, come l’invocazione degli antenati all’inizio della messa, l’atto penitenziale e il segno di pace spostati dopo l’omelia, la solenne processione del vangelo a ritmo di tamburi, ascoltato da tutti seduti.
Boboto, Bondeko, Esengo, Pace, Fraternità, Gioia, esordisce il papa con parole in lingua lingala.
Il papa, nonostante il lungo viaggio, è in forma, e nell’omelia rivolge un accorato appello al perdono reciproco, alla riconciliazione dei cuori: “Gesù conosce le ferite del vostro popolo e dei popoli delle terre d’Africa. Ferite che bruciano, continuamente infettate dall’odio e dalla violenza. Ma Gesù dice a tutti i feriti e agli oppressi di mettere le loro ferite nelle sue, le loro piaghe nelle sue piaghe. Per quelli che sono di Gesù c’è sempre la possibilità di essere perdonati e ricominciare, e quindi di perdonare se stessi, gli altri e la storia”.
Il papa avanza una richiesta particolarmente significativa a tutti i presenti e a coloro che lo seguono per radio o tv: “Ungiamoci con il suo perdono per darci la pace e il coraggio di perdonare a nostra volta, il coraggio di compiere una grande amnistia del cuore. Quanto bene ci fa ripulire il cuore dalla rabbia, dai rimorsi, da ogni rancore e livore!”
L’incontro con le vittime della violenza nell’Est del Congo
Un incontro ristretto, nel salone della Nunziatura, ma molto emozionante. I giornalisti vengono accolti da un’immagine scioccante: un machete deposto sotto il crocifisso. Con rammarico, per ragioni di sicurezza, il papa ha dovuto rinunciare a recarsi in quella zona del Paese, la più tormentata.
Prima di pronunciare il suo discorso, il papa vuole ascoltare le testimonianze di alcune vittime delle atrocità commesse da milizie, fazioni armate, eserciti governativi nelle martoriate province dell’est: Ituri, Nord e Sud Kivu.
Ladislas e Bijoux
Un giovane agricoltore di 16 anni, Ladislas Kambale Kombi, ha visto trucidare suo papà e suo fratello maggiore nel territorio di Beni. Confessa al papa che da allora non riesce più a dormire la notte. “Grazie all’accompagnamento spirituale della mia comunità cristiana, sono riuscito a perdonare agli aguzzini di mio padre e mio fratello”. E allora deposita sotto il crocefisso il machete, simbolo di violenza e di vendette.
Una giovane di 17 anni di Goma, Bijoux Mukumbi Kamala: “Insieme a delle compagne, andavo ad attingere l’acqua al fiume. Per strada ci hanno fermato i ribelli. Mi hanno trascinato in foresta e sono stata ripetutamente violentata come un animale. Sono diventata la schiava sessuale del loro capo. E questo è durato un anno e sette mesi. Poi sono riuscita a scappare al mio villaggio, dove ho partorito due gemelli.”
Anche lei ha trovato aiuto e sostegno nella comunità cristiana: “La Chiesa è il solo rifugio che cura le nostre piaghe, lenisce le nostre ferite, consola i nostri cuori.” E deposita sotto il crocifisso una stuoia, simbolo della miseria di tutte le donne stuprate, e chiede al papa una preghiera affinché possa ottenere il perdono da Cristo per tutto l’odio che ancora porta verso i suoi oppressori.
La risposta del papa
“Davanti alla violenza disumana che avete visto con i vostri occhi e provato sulla vostra pelle si resta scioccati. Non ci sono parole; c’è solo da piangere”. Inizia così il discorso del papa.
E poi riprende la condanna per ciò che sta alla radice di tanta violenza, la bramosia per le ricchezze naturali del Congo: “Rivolgo un vibrante appello a tutte le persone, a tutte le entità, interne ed esterne, che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola. Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue, prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra. Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!”.
Il sacrificio dell’Ambasciatore Luca Attanasio
Inaspettatamente, Francesco alla fine del suo discorso ricorda tre figure emblematiche della crisi dell’est del Congo, due italiani e un congolese. Sono l’ambasciatore Luca Attanasio, la sua guardia del corpo, il carabiniere Vittorio Iacovacci, e il loro autista Mustapha Milambo.
Furono assassinati mentre da Goma si recavano a visitare un campo di rifugiati gestito dal PAM alla frontiera con il Ruanda. Ancora ignoti gli autori. “Erano seminatori di speranza e il loro sacrificio non andrà perduto”, dice di loro il papa.
Giovani, sognate un futuro diverso!
Lo “Stadio dei martiri” gremito di migliaia e migliaia di giovani festanti. Canti, danze, tamburi e altri strumenti creano un ambiente che conquista subito il papa e gli fa dimenticare la fatica di questo viaggio. Infatti esordisce dicendo: “Sono felice di avervi guardato negli occhi, di avervi salutato e benedetto mentre le vostre mani levate al cielo facevano festa.”
I giovani sono la maggioranza della popolazione del Congo e del continente africano. Giovani che sognano un futuro diverso da un presente di violenza e distruzione. “Giovane che sogni un futuro diverso, dalle tue mani nasce il domani, dalle tue mani può venire la pace che manca a questo Paese.”
Preghiera, comunità, onestà, perdono, servizio: i cinque consigli di papa Francesco, il “compito da fare a casa”, affinché questa visita non resti come una meteora nella loro vita, ma porti una forza di trasformazione nelle vicende del paese. Come conclude il papa: “Siate voi, giovani, i trasformatori della società, i convertitori del male in bene, dell’odio in amore, della guerra in pace”
Tutti i discorsi e i video della visita del papa in Congo
P. Marco Prada