Nel nostro sito abbiamo già parlato di Leopoldo II e del colonialismo belga. La nostra collaboratrice Silvia Turrin ne ha già trattato gà in modo chiaro, ampio e esaustivo.

Vi rimandiamo ai suoi preziosi articoli:

Sul quotidiano Avvenire di oggi 11 giugno, lo storico Franco Cardini ritorna sulla vicenda di questo controverso e sanguinario re europeo. L’occasione è l’abbattimento della sua statua e di quelle di altri personaggi storici che hanno fomentato il razzismo e l’etnocidio nei loro tempi.

Rileggere fatti così esecrabili del passato coloniale belga ci deve certo indignare, ma ci deve anche interrogare sul nostro atteggiamento di fronte a questi fenomeni.

Perché ci mobilitiamo solo quando succede un fatto che infiamma l’opinione mondiale? Perché l’antirazzismo non diventa un atteggiamento quotidiano, che permea la nostra cultura, la nostra formazione scolastica, le nostre abitudini e i nostri giudizi di tutti i giorni?

Perché non facciamo emergere la nostra indignazione e reazione anche quando davanti ai nostri occhi assistiamo a episodi di razzismo spicciolo, che coinvolgono persone che vivono nel nostro quartiere, nella nostra città?

Leopoldo II e l’esploratore Stanley

Chi era Leopoldo II, e perché oggi siede sul banco dei principali responsabili dell’afro-razzismo e dei crimini coloniali?

Nel 1876, il re belga organizzò l’Associazione Internazionale Africana con la collaborazione dei principali esploratori sul continente africano e il sostegno di diversi governi europei per la promozione dell’esplorazione e della colonizzazione dell’Africa.

Dopo che Henry Morton Stanley aveva esplorato la regione in un viaggio che si concluse nel 1878, Leopoldo corteggiò l’esploratore e lo assunse per sostenere i suoi interessi nella regione e, dal momento che il governo belga mostrava scarso interesse per l’impresa, il sovrano decise di portare avanti la questione per conto proprio.

La rivalità europea in Africa centrale condusse presto però a tensioni diplomatiche, in particolare per quanto riguardava il bacino del fiume Congo che nessuna potenza europea aveva ancora rivendicato. Nel novembre 1884 Otto von Bismarck convocò a Berlino una conferenza di 14 nazioni per trovare una soluzione pacifica alla crisi congolese.

Nel corso di essa, pur senza formale approvazione delle rivendicazioni territoriali delle potenze europee in Africa centrale, ci si accordò su una serie di regole per garantire una pacifica spartizione dell’area. Esse riconoscevano il bacino del Congo come ‘zona di libero scambio’ (un eufemismo splendido!).

La Conferenza di Berlino e la spartizione dell’Africa

Leopoldo II uscì dai lavori della dalla Conferenza con una grande quota di territorio a lui assegnata come “’Stato libero del Congo, organizzato come un’impresa corporativa privata gestita direttamente da lui attraverso un ‘libero sodalizio’, l’Association Internationale Africaine, appunto.

L’entità definita Stato libero, comprendente l’intera area dell’attuale Repubblica Democratica del Congo, sussisté dal 1885 al 1908: solo allora, alla morte di Leopoldo, il governo belga procedette senza entusiasmo a un’annessione (molti i voti contrari in Parlamento).

Sotto l’amministrazione di Leopoldo II, lo Stato libero del Congo era stato un disastro umanitario, un’autentica infame sciagura. La mancanza di dati precisi rende difficile quantificare il numero di morti causate dallo spietato sfruttamento e dalla mancanza di immunità a nuove malattie introdotte dal contatto con i coloni europei: come la pandemia influenzale del 1889-90, che causò milioni di morti anche nel continente europeo tra cui il principe Baldovino del Belgio.

La Force Publique, esercito privato sotto il comando di Leopoldo, terrorizzava gli indigeni per farli lavorare come manodopera forzata per l’estrazione delle risorse. Il mancato rispetto delle quote di raccolta della gomma era punibile con la morte. Le punizioni corporali, comprese crudeli mutilazioni, erano ordinarie.

Le mani mozzate dei contadini congolesi

I miliziani della Force Publique erano tenuti a fornire una mano delle loro vittime come prova che “giustizia era stata fatta”. Intere ceste di mani mozzate erano poste ai piedi dei comandanti; a volte i soldati ne tagliavano a prescindere dalle quote di gomma, per poter accelerare il congedo dal servizio militare. Nei raid punitivi contro i villaggi uomini, donne e bambini venivano impiccati e appesi alle palizzate.

Il trattamento riservato agli indigeni, insieme alle epidemie, causò nel Congo di Leopoldo II una crisi demografica gravissima; anche se, come detto, le stime di morti variano, si parla di cifre che vanno tra i dieci e i venti milioni.

Se tutti i regimi coloniali hanno accumulato una quota notevole di quelli che ormai definiamo “crimini contro l’umanità”, e che nella pratica significano massacri impuniti di popolazioni locali, il caso di Leopoldo II è particolarmente efferato perché il Congo, prima del 1908, era una sua proprietà personale e le leggi provenivano direttamente da lui: da un sovrano costituzionale, cattolico e liberale.

Cambiamo i nostri libri di storia

 

Abbattere le statue dei responsabili di tali infamie non cambia certo il passato né risarcisce le vittime: semmai, chissà, forme più pesanti di damnatio memoriae sarebbero opportune soprattutto nei confronti di figuri che sino ad ieri venivano onorati come eroi civilizzatori.

Il vero problema non è comunque l’iconoclastia quanto semmai il fatto che di questi crimini non si legga sui libri di scuola, che si continui a considerarli “minori’” rispetto ad altri.

Franco Cardini, Avvenire, 11 giugno 2020

La nostra politca del copyright