Fino al 26 novembre 2023, la Biennale di Architettura di Venezia rende protagonista il continente africano, grazie alle scelte – originali e innovative – della curatrice, Lesley Lokko.
Nata nel 1964 a Dundee, in Scozia, Lesley Lokko ha una formazione e un’esperienza di respiro internazionale. È cresciuta tra il Ghana (la terra natia del padre) e la Scozia (paese d’origine della madre), studiando poi negli Stati Uniti. Diventata architetto di fama internazionale, oltre che scrittrice, Lesley Lokko vive e lavora tra Johannesburg, Accra, Edimburgo e Londra. E, fino appunto a novembre, è impegnata con le svariate attività della Biennale di Architettura di Venezia, di cui è curatrice.
Grazie all’impegno di Lesley Lokko e tramite il suo legame con l’Africa, la Biennale si è potuta aprire a un continente spesso ghettizzato, anche nel mondo dell’arte. Eppure, nei vari paesi africani non mancano certo idee innovative e artisti originali: anzi, di creatività ce n’è in abbondanza. Occorre solo conoscerla e farla conoscere. È ciò che ha fatto Lesley Lokko.
Tutto ha preso il via nel 2020, quando Lesley ha fondato ad Accra, capitale del Ghana, l’African Futures Institute. Si tratta di una scuola di specializzazione in architettura. L’Istituto promuove parallelamente eventi e progetti tramite cui affrontare questioni globali, quali: decolonizzazione, decarbonizzazione e diversità. Lesley Lokko ha anche fondato a Johannesburg la Graduate School of Architecture. Attiva nell’insegnamento (negli Stati Uniti, in Europa, in Australia, oltre che in Africa), ha ricevuto numerosi premi. Con questo background, la Biennale di Architettura di Venezia è decisamente in buone mani.
Per superare una visione dell’arte ancora troppo “occidentale” ed “eurocentrica”, Lesley Lokko ha richiamato nell’antica città dei Dogi numerosi artisti africani o legati alla cosiddetta diaspora africana. Tra loro, nomi già noti a quanti conoscono l’ambiente dell’arte. Vi è infatti David Adjaye, nato in Tanzania, famoso anche per essere il primo architetto africano ad aver ricevuto nel 2020 la medaglia d’oro dal Royal Institute of british Architects.
Ospite della Biennale è anche Diébédo Francis Kéré, vincitore del Premio Pritzker, architetto burkinabé che crea edifici eco-responsabili di cui avevamo parlato in un precedente articolo (per leggerlo clicca qui). Tra i protagonisti anche il nigeriano Olalekan Jeyifous, ormai da anni attivo a Brooklyn, che ha creato un tentacolare racconto retro-futuristico ambientato nel 1972. “Una realtà – ha spiegato Jeyifous – ambientata circa dieci anni dopo il periodo del processo di indipendenza di molti paesi africani dal dominio coloniale”.
Si parla, dunque, in questa Biennale, di “laboratori del futuro”.
A tal proposito Lesley Lokko ha affermato:
“Noi architetti abbiamo un’occasione unica per proporre idee ambiziose e creative che ci aiutino a immaginare un più equo e ottimistico futuro in comune”.
Colmare lacune nel settore dell’arte
Attraverso la Biennale d’Architettura 2023, Lesley Lokko intende colmare profonde lacune nel mondo dell’arte.
“Si dice spesso che la cultura sia la somma totale delle storie che raccontiamo a noi stessi e di noi stessi. Manca tuttavia in questa affermazione un qualsiasi riconoscimento di chi sia il ‘noi’ in questione. In architettura in particolare, è stata storicamente dominante una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere ignorano enormi fasce di umanità – finanziariamente, creativamente, concettualmente – come se avessimo ascoltato e parlato in una sola lingua. La ‘storia’ dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. È in questo contesto che le mostre hanno un peso particolare. Sono un momento unico in cui ampliare, cambiare o raccontare una nuova storia, il cui pubblico e il cui impatto si fanno sentire ben oltre le mura fisiche e gli spazi che la ospitano. Ciò che diciamo pubblicamente è importante, perché è il terreno su cui si costruisce il cambiamento, a piccoli passi e anche con balzi da gigante”.
Per questo, si parte dall’immaginazione, che è “strumento principe e decisivo di ogni progetto”, unita a una ricca produzione architettonica africana e diasporica.
a cura di Silvia C. Turrin
Per conoscere il programma dettagliato della Biennale clicca qui