In Costa d’Avorio e in Ghana si sono persi migliaia ettari di foreste per far posto alle piantagioni di cacao. Era il 2017 quando le più note e potenti società attive nell’industria del cacao si erano impegnate a fermare la deforestazione proprio in Africa occidentale.
Dopo circa un anno dalle dichiarazioni di un cambio di rotta da parte di multinazionali come Nestlé, Mars, Hershey, Godiva nulla sembra essere cambiato. Anzi, l’inchiesta promossa dall’Ong Mighty Earth dimostra proprio il contrario. Il rapporto stilato dall’Ong Mighty Earth svela come le grandi industrie del cioccolato coltivino illegalmente le piante di cacao persino nei parchi nazionali e all’interno di aree protette.
La Costa d’Avorio rimane la nazione più colpita da questo drammatico fenomeno: basti pensare che nel solo anno 2017, nella zona sud occidentale del Paese si sono persi circa 14mila ettari di foresta. Uno scempio sostenuto più o meno direttamente sia dal governo ivoriano. In questi decenni, Costa d’Avorio e Ghana hanno perso quasi il 90% del loro patrimonio forestale proprio a causa della coltivazione del cacao.
Ombre sulla filiera del cacao
Per fermare questa distruzione di interi habitat occorre seguire dall’inizio alla fine la filiera del cacao, occorre capire dove sono coltivate le fave di cacao, chi le coltiva e qual è l’industria che le trasforma. In pratica, il consumatore ha il diritto di conoscere la tracciabilità del prodotto che consuma. In alcuni casi la tracciabilità non è così semplice da individuare, poiché a capo di determinate attività figurano i cosiddetti “giganti invisibili”. Si tratta di multinazionali il cui nome non è noto, ma che detengono buona parte di settori economici strategici e redditizi.
È il caso della Cargill, grande Corporation statunitense, uno dei più grandi trasformatori di cacao al mondo. Su questo grande “gigante invisibile” Brewster Kneen ha scritto il volume “Invisible Giant: Cargill and its transnational Strategies” (Pluto Press, 2002) non tradotto in italiano. Oltre alla Cargill, a controllare la metà del commercio mondiale di cacao vi sono la Olam e la Barry Callebaut.
La scomparsa di interi habitat
La distruzione delle antiche foreste causa la perdita di biodiversità e il rischio di estinzione di molte specie animali. Quegli ecosistemi abitati da scimpanzé, leopardi, ippopotami ed elefanti vengono alterati e ridotti a tal punto che la fauna scompare. Le foreste muoiono e con esse gli esseri viventi che le popolano. Secondo stime realistiche, se la coltivazione di cacao continuerà a questo ritmo, entro il 2024, cioè soltanto fra cinque anni, intere foreste dell’Africa occidentale scompariranno. P
er questo l’industria del cioccolato sta già diversificando lo sfruttamento di altre terre esportando altrove il modello agricolo-industriale non sostenibile e distruttivo adottato in Costa d’Avorio. L’Amazzonia peruviana, il bacino del Congo e le foreste del Sud est asiatico sono il nuovo “Eldorado” per le multinazionali del cioccolato.
Sfruttamento della natura e sfruttamento degli agricoltori
La deforestazione, la monocoltura e la logica del profitto vanno a braccetto con lo sfruttamento degli agricoltori e della manodopera locale. I contadini sono ancora retribuiti pochissimo. Per diminuire ancor di più i costi vengono in molti casi impiegati bambini, trasformati in veri e propri schiavi. I coltivatori di cacao della Costa d’Avorio e del Ghana guadagnano meno di un dollaro al giorno.
Non stupisce quindi il dato diffuso dall’agenzia Ecofin, secondo cui i paesi africani produttori di cacao nel 2016 e 2017 hanno assicurato il 75% della produzione mondiale, ottenendo però in cambio solo il 6% dei profitti realizzati dall’industria del cioccolato. I governi di Accra et Abidjan stanno cercando di affinare un accordo per regolare meglio il prezzo delle fave di cacao.
Potrebbe quindi formarsi una sorta di cartello, sulla falsa riga di quello promosso dall’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, a cui potrebbero partecipare anche la Nigeria, il Camerun, l’Indonesia e l’Equador, nazioni che insieme concentrano l’85% della produzione mondiale di cacao. La formazione di questo ipotetico cartello, però, non comporta alcuna garanzia per la salvaguardia delle foreste, né per la tutela degli agricoltori e dei bambini-schiavi.
Un primo passo per cercare di tutelare l’ambiente e i lavoratori del settore è quello di scegliere scrupolosamente il cioccolato che si acquista, privilegiando quello certificato coi seguenti marchi : Forest Stewardship Council® (FSC), Fairtrade, Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), Rainforest Alliance.
Silvia C. Turrin
Per approfondire si veda il rapporto in pdf dell’organizzazione internazionale ambientalista Mighty Earth L’oscuro segreto del cioccolato.
Foto: Global Witness; Sauvons la Forêt ; Atlanta Black Stars
(libere da copyright, ma se qualcuno vantasse dei diritti, ce ne scusiamo, e su sua segnalazione rimuoveremo immediatamente la foto)