Da quando il kenyano Ngugi wa Thiong’o rifiutò l’inglese, lingua coloniale, per scrivere nella sua lingua kikuyu, tanto cammino è stato fatto per decolonizzare la lingua e liberare la letteratura africana
Nel 1962 tre docenti dell’Università di Nairobi sancirono quello che voleva essere un manifesto per l’abolizione della lingua inglese dal corso di letteratura africana. Da subito l’impatto del programma di Nairobi fu molto forte e influenzò lo sviluppo della letteratura afro-americana e caraibica.
Nel 1977 lo scrittore e intellettuale kenyota Ngugi wa Thiong’o (cfr Decolonizzare la mente: la politica della lingua nella letteratura africana, Jaka Book, 2015), convinto che ogni scrittore debba usare la sua lingua di origine, incominciò a scrivere in kikuyu.
Il governo di Jomo Kenyatta – il padre del Kenya indipendente – per questo gesto considerato anti governativo, prima lo mise in prigione, poi lo esiliò. Il colonialismo era riuscito nel processo di svilimento e umiliazione della coscienza di sé, da far percepire tutto quello che veniva dal mondo dei bianchi superiore, e inferiore e non degno quello che veniva dall’Africa.
Wa Thiong’o partiva da questa considerazione: quando gli scrittori scrivono nella propria lingua scoprono la loro identità, la loro originalità culturale, non sono più una pallida imitazione di qualcosa d’altro. L’Occidente si considera il centro del mondo, controlla il potere culturale, politico ed economico. Spostare quel centro è indispensabile per liberare le altre culture. La decolonizzazione della mente può diventare all’ordine del giorno solo se riesce a coinvolgere le lingue africane come canali di conoscenza.
Al Convegno di Asmara del 2014, si rafforzarono le stesse considerazioni. All’evento, organizzato dalla casa editrice Africa World Press e finalizzato a capire il ruolo delle lingue e letterature africane nel XXI secolo, parteciparono più di 700 artisti e studiosi della cultura africana. Poeti, romanzieri, i nomi più noti. Vastissima la partecipazione della gente comune.
Le lingue africane sono la chiave per lo sviluppo della democrazia del continente. Può esserci una democrazia se la gente non può, soprattutto nelle aree rurali, esprimere il proprio pensiero? Boubacar Boris Diop, scrittore senegalese, in una recente intervista sostiene che è l’idea occidentale dell’Africa ad essere insegnata nelle scuole africane e aggiunge che si dovrebbe dare più spazio agli autori che vivono in Africa.
In Senegal, all’Università di Saint Louis, si è svolto un esperimento didattico in lingua pulaar e wolof che ha avuto un grande successo. Per la prima volta nella storia del Senegal, un’Università sta formando specialisti in lingue locali.
Maria Ludovica Piombino