Nadifa Mohamed è nata nel 1981 a Harghesia, una delle principali città della Somalia e di fatto capitale amministrativa dello Stato indipendente del Somaliland, stato non riconosciuto dalla comunità internazionale. Qui si trovano il parlamento regionale, il palazzo presidenziale ed i ministeri del governo.
Nel 1986 Nadifa si è trasferita con la famiglia in Inghilterra. Cresciuta a sud di Londra, ha studiato storia e politica all’ Università di Oxford.
Nel 2009 ha esordito nella narrativa con il romanzo Mamba boy (Neri Pozza, 2010), basato sui racconti del padre cresciuto tra l’Africa e il Medio Oriente, aggiudicandosi l’anno successivo il Betty Trask Award.
Inserita nella lista Africa39 che raccoglie i 39 scrittori africani più promettenti sotto i 40 anni, con il secondo romanzo, The orchard of lost souls, pubblicato nel 2013, ha ottenuto il Somerset Maugham Award. Ambientato durante gli anni della dittatura di Siad Barre, è la storia di tre generazioni di donne.
Nel 2021 ha pubblicato il suo terzo romanzo, The fortune man (Penguin books), la storia vera del mercante/pirata somalo Mahmood Hussein Mattan, accusato ingiustamente nel 1952 di omicidio.
Nadifa Mohamed è stata la prima autrice somalo-britannica ad arrivare finalista per il Booker Prize. Giornalista per il Guardian, nel 2018 è stata eletta fellow della Royal society literature. Oltre ai romanzi che l’hanno resa famosa, ha scritto anche racconti brevi, saggi e memoir. In italiano, il suo racconto breve Filsan, è apparso nell’antologia Africana, raccontare il continente al di là degli stereotipi (a cura di Chiara Piaggio e Igiaba Scego, Feltrinelli, 2021).
Il suo romanzo più famoso, Mamba Boy, è un romanzo iniziatico, è la storia del piccolo Jama e le sue avventure:
“Ambaro, la madre di Jama, è una bedu, una beduina somala capace di seguire a piedi i cammelli durante gli spostamenti della carovana di suo padre. Incinta di Jama di otto mesi, un giorno si siede esausta ai piedi di un’antica acacia nella savana. Sul lato del pancione esposto al sole scorge a un certo punto arrotolarsi un gigantesco mamba nero, il serpente dal veleno più letale che vi sia.
Il mamba appoggia il muso da diavolo saggio sull’ombelico, poi scivola giù e, con un colpo di coda, scompare nella sabbia. Naturale, perciò, che quando Jama nasce, Ambaro lo chiami Goode, che significa appunto mamba nero. Goode, il ragazzo fortunato, nato con la benedizione del grande serpente.
La buona sorte, però, non sembra accompagnare affatto i primi passi del ragazzo nel mondo. Guure, suo padre, un sognatore di liuto che non accetta l’idea che la giovinezza possa finire, abbandona Ambaro e Jama al loro destino e parte per il Sudan con la speranza di fare fortuna come autista per gli stranieri.
Lasciata la Somalia e trasferitasi con Jama ad Aden, la città dello Yemen coi suoi edifici color sabbia e le sue fabbriche, dove accorrono da ogni parte commercianti, criminali, facchini, pescatori e ciabattini, Ambaro inaspettatamente muore. E Jama si ritrova da solo in un luogo che non è affatto un paradiso, come immaginava sua madre, ma un posto sporco e pericoloso.
Dopo aver vissuto in strada con i ragazzi del mercato, Jama decide di tornarsene in Somalia con un solo proposito in testa: ritrovare suo padre”.
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A cura di Maria Ludovica Piombino
Biblioteca Africana Borghero