Vorrei condividere con voi il turbine di emozioni che in tutti questi mesi si sono susseguiti dentro me.

Dal 1996 sono un’infermiera per professione e per VOCAZIONE. Non c’è mai stata una cosa più importante nella mia vita che essere dono per gli altri.

In tanti modi il Buon Dio mi ha aperto delle porte per mettermi al servizio del prossimo: come animatore ACR nella mia comunità di origine, Chiesanuova, un anno in Ecuador con le suore Elisabettine, tre in Zambia con Alberto e poi mi sono sempre sentita in MISSIONE nel mio luogo di lavoro in Italia e nel mio quotidiano ruolo di sposa, madre, figlia e membro della comunità di Feriole.

Ho sempre detto a me stessa che io non sono degna di insegnare niente a nessuno, ma ho sempre sperato che quando qualcuno mi avesse conosciuto e avesse gustato il mio modo di essere dono per gli altri…potesse pensare… che DIO ESISTESSE.

Non voglio sembrarvi presuntuosa, ma io lavoro con persone di diverse nazionalità e religioni, e far conoscere attraverso la mia vita il nostro DIO lo ritengo un privilegio… lo stesso che ho con i miei figli.

Non ripeto a loro quanto Dio sia BUONO E GRANDE, ma nel mio cuore spero sempre che Dio entri nella loro vita attraverso me.

Oggi essere infermiera per me è faticosissimo mentalmente e fisicamente. Lavoro in media 10-12 ore al giorno, sia come coordinatore (la vecchia caposala) sia come infermiera, perché manca personale nella Casa di riposo a Taggì dove lavoro da otto anni.

Sono ritmi che in alcune giornate dico a me stessa che “NON CE LA FACCIO PIÙ… ma poi un buon sonno ristoratore carica le batterie del cuore e della mente e al mattino successivo riparto in quarta!!

Al primo lockdown ho fatto mia per tre mesi la preghiera delle orme lasciate sulla sabbia: “DIO MI HA PORTATO IN BRACCIO PER 3 MESI SENZA MAI MOLLARMI PER UN ATTIMO”.

Non sono pazza, ma ogni giorno quando scendevo dall’auto, sul parcheggio della casa di riposo dove lavoro, provavo sempre la stessa sensazione: quella di entrare dentro ad una bomba con innescata una miccia… Non si sapeva l’ora e il giorno in cui doveva esplodere… ma sarebbe esplosa!

Quindi il Buon Dio ha pensato bene che era meglio portarmi in braccio perché se mi lasciava a terra, da sola, sarei potuta scappare da quel luogo in cui LUI invece mi chiamava ad esserci: con la mia presenza come cristiana e il mio supporto professionale.

Adesso invece la sensazione è che, io e il Capo Lassù, camminiamo vicini sulla spiaggia avvolti entrambi dal mantello di Maria.

Non lo so perché ho questa immagine fissa nella mente, sta di fatto che mi dà sicurezza e serenità.

Questo è ciò che provo.

Poi quando torno a casa come tutte le mamme lavoratrici c’è il RESTO, fatto della spesa, della cena da preparare, dei compiti da controllare o fare in compagnia di Lorenzo o Giulia, un’uscita con i miei genitori per qualche commissione… ma non c’è problema, una cosa alla volta si fa. Tengo molto che tutto ciò sia vissuto con SERENITÀ DI CUORE.

È molto forte dentro di me il desiderio di donarmi agli altri… nella misura in cui però riesco a DONARMI alla mia famiglia. Alberto, Lorenzo e Giulia mi sostengono moltissimo.

Poche volte la paura ha bussato al mio cuore, ma mai è entrata nelle nostre conversazioni. Timori e dubbi sì, ma la paura non ha mai fatto da padrona di casa.

Il suo posto è occupato da SORELLA SPERANZA. Una sorella che cammina con noi ogni giorno e che nei momenti di grandi fatiche è sempre lì ad aspettare di essere abbracciata.

Marta Canova
da Il Campo n° 154, periodico di collegamento della casa SMA di Feriole

Foto: Marta volontaria in Ecuador, con il marito Alberto e i figli