In Italia, e nel più vasto contesto europeo, è da anni che le migrazioni – soprattutto provenienti dal continente africano – vengono definite e gestite secondo una logica emergenziale. C’è chi addirittura parla di “invasione”: un termine che ricorda molto lo slogan del National Party sudafricano – ovvero oorstroming (inondazione) – usato durante la campagna elettorale del 1948, che permise al partito nazionalista di vincere e di istituzionalizzare il regime di apartheid.
Quali sono le motivazioni che spingono migliaia di persone a lasciare la terra natia, rischiando la vita e giungendo in luoghi dove, in alcuni casi, aleggiano razzismo e xenofobia? Abbiamo in parte risposto nel precedente Articolo “Perché donne, bambini, uomini fuggono dall’Africa?”.
Qui di seguito parleremo parleremo del caso Libia, delle speranze disattese di quelle rivoluzioni etichettate con l’appellativo di “Primavera araba” e dei parallelismi tra politiche sui flussi migratori e apartheid sudafricano.
Speranze disattese per le rivoluzioni in Maghreb
La primavera araba è la denominazione data a quell’insieme di contestazioni popolari avvenute in varie nazioni del nord Africa e del Medio Oriente. Il periodo va dal dicembre 2010 alla metà del 2012 e ha coinvolto, tra gli altri paesi, l’Algeria, la Tunisia, la Libia, l’Egitto.
Queste rivoluzioni, in molti casi, non hanno portato a un miglioramento delle condizioni sociali della popolazione, bensì, a livello politico-istituzionale si sono sprigionate varie tendenze, forze, nonché fratture destabilizzanti.
Basti considerare la Libia sprofondata nelle guerre civili a seguito della caduta di Gheddafi. Nonostante si continui a parlare di tentativi di normalizzazione, il contesto libico rimane frammentato. Ancora nel 2022 si sono verificati combattimenti in pieno centro della capitale Tripoli. Gruppi armati di varia natura continuano a proliferare in varie zone del paese. La violazione dei diritti umani rimane ancora diffusa, in particolare nei famigerati centri di detenzione, dove donne, bambini e uomini sono detenuti in condizioni disumane.
In generale, la situazione in Libia è drammatica, come sottolinea Amnesty International.
“Le milizie, i gruppi armati e le forze di sicurezza hanno continuato a detenere arbitrariamente migliaia di persone. Decine di manifestanti, avvocati, giornalisti, voci critiche e attivisti sono stati rastrellati e sottoposti a tortura e altro maltrattamento, sparizione forzata e “confessioni” videoregistrate. Le milizie e i gruppi armati hanno fatto ricorso all’uso illegale della forza per reprimere proteste pacifiche in tutto il paese”.
Non va meglio in Algeria, dove “Le milizie, i gruppi armati e le forze di sicurezza hanno continuato a detenere arbitrariamente migliaia di persone. Decine di manifestanti, avvocati, giornalisti, voci critiche e attivisti sono stati rastrellati e sottoposti a tortura e altro maltrattamento, sparizione forzata e “confessioni” videoregistrate. Le milizie e i gruppi armati hanno fatto ricorso all’uso illegale della forza per reprimere proteste pacifiche in tutto il paese”, ha denunciato Amnesty.
Per non parlare dell’Egitto, considerato un paese autocratico governato dal militare Abdel Fattah al-Sisi, artefice del colpo di Stato nel 2013, contro l’ex presidente Morsi. Con al-Sisi le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. Repressione degli oppositori al regime, detenzioni arbitrarie, persone decedute in carcere, numerosi i prigionieri d’opinione e prigionieri politici. Da ricordare, la brutale uccisione di Giulio Regeni e l’incarcerazione arbitraria di Patrick Zaki, poi per fortuna rilasciato ma non ancora prosciolto.
Le migrazioni nascono da queste involuzioni, dall’assenza di libertà e di un vera democrazia, a cui si aggiungono altri fattori, quali:
- la mancanza di lavoro e di reali prospettive di crescita e di sviluppo nei paesi africani d’origine;
- le persecuzioni politiche o le discriminazioni di genere o etniche;
- le catastrofi naturali (siccità, tifoni, cicloni) provocate sempre più dall’effetto serra e dai cambiamenti climatici;
- la corruzione dei politici locali e l’accaparramento delle ingenti risorse minerarie (oro, coltan, diamanti, petrolio, gas, rame, cobalto, manganese, tungsteno, ecc.) da parte di potenze e multinazionali straniere, extra-africane.
Tutto ciò ha creato varie tipologie di migranti, se vogliamo dare loro una specifica connotazione.
La Fondazione Centro Studi Emigrazione-Roma (CSER) individua le seguenti tipologie di migranti:
- Immigrati per lavoro
- Immigrati stagionali o lavoratori a contratto
- Immigrati qualificati e gli imprenditori (skilled migrations; imprenditoria etnica)
- Familiari al seguito (ricongiungimenti familiari)
- Richiedenti asilo, rifugiati, titolari di protezione internazionale, sfollati (più ampiamente: “migrazioni forzate”)
- Minori Stranieri Non Accompagnati – richiedenti asilo
- Immigrati irregolari, “clandestini”, vittime del traffico di esseri umani
- Seconde generazioni e persone con background migratorio
- Migranti di ritorno
Mancano a questa categorizzazione i migranti ambientali. Il loro numero è in aumento, in concomitanza con l’aggravarsi dell’effetto serra e della crisi climatica che provoca eventi metereologici sempre più estremi. Siccità, uragani, cicloni. Molte zone rischiano di diventare totalmente improduttive, quindi non più adatte per ottenere risorse alimentari.
Una politica europea di accoglienza dei migranti schizofrenica
I migranti provenienti dall’Africa (e non solo) erano e sono accolti in Europa prevalentemente in funzione delle necessità legate al mondo del lavoro (ad esclusione di quei migranti accettati in quanto rifugiati politici).
Si può dire che fino agli anni ´70, grazie al boom economico, molti Stati europei hanno accolto numerosa manodopera proveniente dall’Africa. Dopo la crisi del 1973 dovuta principalmente alla guerra del Kippur, con il conseguente shock petrolifero, il Vecchio Continente iniziò a porre un freno all’ingresso di stranieri extraeuropei. Durante gli anni ’80, alcune comunità africane, in particolare dall’Africa occidentale, potevano ancora entrare legalmente in varie nazioni europee.
Le limitazioni progressive si sono via via rafforzate in concomitanze con le crisi economiche avvenute nei mercati occidentali-capitalistici, con la decadenza di molti settori lavorativi, con il processo di globalizzazione e con il risveglio di movimenti nazionalisti, che fanno “dell’identità etnica” la loro bandiera ideologica.
Si aggiunge la creazione dell’Unione Europea, che ha sì permesso ai suoi membri di circolare più o meno liberamente da un paese europeo all’altro, ma che ha rafforzato al contempo il concetto di frontiere esterne alla cosiddetta “fortezza europea”.
Parallelismi con l’apartheid sudafricano?
In Sudafrica, prima della legalizzazione ufficiale del regime di apartheid, venne istituita, nel 1921, la Transvaal Local Government Commission, presieduta dal colonnello Stallard. Il lavoro di questa Commissione si basò su un’idea centrale, ovvero che la popolazione nera sudafricana dovesse essere trattata principalmente come “riserva di lavoro” a disposizione dei bianchi. Nei termini della Commissione, ai nativi doveva essere accordato il permesso di entrare nelle aree urbane solo se la loro presenza fosse stata richiesta dal settore economico dei bianchi e, di contro, dovevano allontanarsi dalle stesse aree quando tale richiesta fosse cessata.
Proprio in seguito alle raccomandazioni della Commissione Stallard venne promulgato, nel 1923, il Natives Urban Areas Act, attraverso il quale i sudafricani neri furono considerati residenti urbani temporanei e, in quanto tali, dovevano essere rimpatriati verso le riserve: se non economicamente attivi; se non avevano diritti di proprietà; se non occupati.
Guardando specificatamente al caso italiano e ai recenti sviluppi, o meglio regressioni, in materia, sembra si vogliano applicare regole simili a quelle applicate all’epoca dell’apartheid sudafricano.
Una persona extraeuropea può entrare in Italia a seconda delle esigenze e delle richieste del mercato del lavoro.
A tutto ciò, si aggiunge il risveglio/rafforzamento di atteggiamenti nazionalisti, populisti e razzisti che utilizzano la questione dei migranti come tema di propaganda.
I migranti vengono quindi dipinti come “minacce” alla sicurezza e addirittura all’identità italiana…
Un approccio, questo, molto simile a quella visione ideologica tipica del National Party sudafricano artefice dell’apartheid. Non a caso, come già in precedenza accennato, durante la campagna elettorale che vide la vittoria del partito nazionalista i temi dominanti erano: l’oorstroming (inondazione) delle città di un proletariato africano incontrollato e lo swaart gevaar (pericolo nero).
Come concludere questo articolo?
Con una poesia, perché solo un testo poetico può dare un senso alla follia umana e può risvegliare nelle nostre coscienze addomesticate dal benessere quel sentimento di Umanità di cui il mondo ha bisogno.
Silvia C. Turrin
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Poesia Home di Warsan Shire, poetessa britannica di origine somala
nessuno lascia la propria casa a meno che
casa sua non siano le mandibole di uno squalo
verso il confine ci corri solo
quando vedi tutta la città correre
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
il fiato insanguinato nelle loro gole
il tuo ex-compagno di classe
che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine
ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo
lasci casa tua
quando è proprio lei a non permetterti più di starci.
nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo
fuoco sotto ai piedi
sangue che ti bolle nella pancia
non avresti mai pensato di farlo
fin quando la lama non ti marchia di minacce incandescenti
il collo
e nonostante tutto continui a portare l’inno nazionale
sotto il respiro
soltanto dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando ad ogni boccone di carta
ti è risultato chiaro il fatto che non ci saresti più tornata.
dovete capire
che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno va a bruciarsi i palmi
sotto ai treni
sotto i vagoni
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion
nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse
non significhino più di un qualsiasi viaggio.
nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato
commiserato
nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori
o il carcere,
perché il carcere è più sicuro
di una città che arde
e un secondino
nella notte
è meglio di un carico
di uomini che assomigliano a tuo padre
nessuno ce la può fare
nessuno lo può sopportare
nessuna pelle può resistere a tanto
Andatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani aperte
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro
le parole
gli sguardi storti
come fai a scrollarteli di dosso?
forse perché il colpo è meno duro
che un arto divelto
o le parole sono più tenere
che quattordici uomini tra
le cosce
o gli insulti sono più facili
da mandare giù
che le macerie
che le ossa
che il corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.
a casa ci voglio tornare,
ma casa mia sono le mandibole di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa
a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda
a meno che casa tua non ti abbia detto
affretta il passo
lasciati i panni dietro
striscia nel deserto
sguazza negli oceani
annega
salvati
fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
la tua sopravvivenza è più importante
Nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia
Che ti mormora nell’orecchio
Vattene,
scappatene da me adesso
non so cosa io sia diventata
ma so che qualsiasi altro posto
è più sicuro che qui.