“Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato”.
“Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”.
Così si legge nell’Articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Se tale storico e illuminante documento fosse vincolante per gli Stati che l’adottarono, in questi decenni saremmo di fronte a una quantità spropositata di violazioni, in vari ambiti, a cominciare dalle politiche migratorie.
Nell’Articolo 13 qui citato, è evidente l’intento di tutelare la libertà di movimento di qualsiasi persona al fine di creare quelle condizioni sicure e ideali per la piena realizzazione di ogni individuo.
In pratica, se l’Articolo 13 fosse applicato, ci troveremmo in una situazione ben diversa rispetto a quella a cui assistiamo negli ultimi anni. Ogni essere umano avrebbe la possibilità di spostarsi in modo libero, fuggendo da guerre, povertà e da luoghi non più sicuri a causa dei cambiamenti climatici. Il pianeta si trasformerebbe in una vera Casa-Comune, dove non esisterebbero più ostacoli ai movimenti delle persone. Ma non è così.
La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 rimane un documento non vincolante per gli Stati e le conseguenze di ciò, ahimè, sono all’ordine del giorno.
Le frontiere nazionali – che ad occhio nudo rimangono qualcosa di intangibile e di artefatto – sono diventate una sorta di “feticcio” da venerare, proteggere, controllare.
Addirittura si parla di “esternalizzazione delle frontiere” nel caso del contenimento delle migrazioni. Tutto ciò si collega a politiche migratorie che prevedono rimpatri per chi arriva “illegalmente” in un Paese.
Su questi temi è interessante ricordare la posizione di Amnesty International in merito alle politiche migratorie adottate dall’Unione Europea.
[…]i governi dell’Ue hanno attribuito priorità al contrasto nei confronti del traffico illegale rispetto alle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, studiando metodi per esternalizzare il controllo delle frontiere al di fuori dell’Europa, nell’intento di impedire l’ingresso in Europa di rifugiati e migranti. Fermare e imprigionare migranti, richiedenti asilo e rifugiati in paesi con una tradizione di scarso rispetto dei diritti umani significa metterne a repentaglio le vite.
Nello specifico Amnesty International evidenzia una serie di criticità:
- Gli accordi con i paesi terzi spesso non tengono conto delle violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate all’interno di queste aree;
- Queste intese spesso vengono fatte senza alcuna trasparenza e non sono rese pubbliche;
- Gli accordi si traducono spesso in una negazione del diritto delle persone di chiedere asilo, in violazione del principio di non refoulement;
- Si utilizzano i fondi della cooperazione per costringere gli stati di provenienza di migranti e rifugiati a collaborare alla chiusura delle loro frontiere.
Gli accordi con Tunisia, Mauritania ed Egitto
Queste “criticità” sono quanto mai evidenti nei recenti accordi firmati con la Tunisia, con la Mauritania e con l’Egitto.
Partiamo proprio dall’Egitto. Nel momento in cui scriviamo questo pezzo, Ursula von der Leyen insieme ai premier di alcuni Stati europei (Austria, Belgio, Cipro, Grecia, Italia) si trovano a Il Cairo per parlare di flussi migratori con il presidente Abdel Fattah al-Sisi e con il suo staff. L’intento, come è avvenuto in altre situazioni simili, è quello di fermare le tratte illegali, in cambio di denaro: all’Egitto sono stati concessi ben 7,4 miliardi di euro da qui al 2027.
Eppure, questo accordo tra UE ed Egitto è anacronistico, considerato che – come affermano esperti di diritto internazionale, politologi e associazioni per i diritti umani – il governo de Il Cairo è guidato da una dittatura militare. Basti considerare la non collaborazione delle autorità egiziane nel caso di Giulio Regeni, dato che fino ad oggi non è stata concessa l’estradizione (e nemmeno l’informazione sui loro rispettivi domicili) dei quattro imputati (agenti dei servizi di intelligence) per la morte brutale del ricercatore friulano.
Ricordiamo che le violazioni dei diritti umani in Egitto sono la norma, non l’eccezione, come sottolinea Amnesty International nei suoi Report.
Della situazione in Tunisia, avevamo già parlato in un precedente Articolo, in cui abbiamo sottolineato come gli slanci di rinnovamento emersi durante la cosiddetta “Primavera araba” siano stati soffocati dal nuovo autoritarismo di Kaïs Saïed.
Del caso Mauritania, non se ne sente parlare, forse perché rimane un Paese africano poco noto e poco interessante da trattare. Eppure, è anch’esso importante a livello geopolitico. Infatti, in questo mese di marzo 2024, rappresentanti dell’Unione Europea hanno firmato – senza molti proclami – un partenariato con il governo di Nouakchott con l’obiettivo di controllare i flussi migratori verso le isole Canarie.
La rotta Mauritania e Canarie rappresenta una delle più pericolose, perché risultano problematici e scarsi i soccorsi in mare nel caso di emergenze e richieste di aiuto. Anche nel caso dell’accordo tra Mauritania e UE si parla di soldi (210 milioni di euro), in cambio di un controllo capillare da parte delle autorità di Nouakchott, riguardo ai flussi migratori.
Questo tipo di partenariati mette in evidenza vari elementi:
- in primis, l’incapacità dell’UE di fornire risposte adeguate, che rispettino i diritti umani, alle domande sempre in crescita di migranti “irregolari” di trovare protezione e un futuro sicuro;
- in secondo luogo, questi accordi vengono posti in essere con governi che calpestano le libertà e i diritti fondamentali dell’uomo, contravvenendo così ai principi stessi su cui si fonda l’UE;
- da ultimo, ma non per importanza, questi documenti d’intesa non prendono in considerazione la vera radice del fenomeno migratorio, che è collegata all’aumento dei conflitti nel mondo, all’insicurezza alimentare, politica, sociale e ambientale di miliardi di bambini, donne e uomini, provenienti soprattutto dal cosiddetto Sud del mondo.
Nella storia dell’umanità le migrazioni ci sono sempre state.
Quando si sono trasformate in esperienze di incontro e scambio hanno dato una spinta evolutiva alla storia e alla civiltà, creando un humus culturale ed economico che ha fatto fiorire nuove idee e slanci di progresso.
Quando invece le migrazioni sono state e vengono bloccate, quando il “feticcio” delle frontiere prende il sopravvento per rispondere a logiche propagandistiche e demagogiche, allora l’umanità farà sempre passi indietro, riportando le lancette della storia a epoche oscure.
Silvia C. Turrin
foto: africanarguments.org