Il papà dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso il 22 febbraio 2021 in Congo, ricorda gli anni passati dal figlio in Africa: un diplomatico che girava i quartieri e i villaggi per incontrare la gente, sempre vicino ai missionari
Mio figlio Luca è stato un ambasciatore un po’ sui generis. Nei paesi africani che ha servito, si è sempre mostrato molto sensibile ai problemi della popolazione locale. Il suo grande sogno nella Repubblica Democratica del Congo, il paese in cui è stato ucciso a 43 anni, era quello di aiutare la popolazione, ma partendo dai bambini, perché, diceva, dando loro istruzione e cultura, saranno loro gli artefici del loro paese.
Non avranno la necessità di fuggire da situazioni di miseria e persecuzione, come fanno oggi molti africani.
Console in Nigeria
Prima del Congo, dal 2015 al 2017 aveva passato due anni in Nigeria come console. Ci raccontava che andava nei villaggi di questo Paese, per conoscere la vita della gente, ed era molto colpito nel vedere le donne percorrere fino a 10 km per cercare un po’ di acqua potabile.
Allora aveva ottenuto da industriali italiani che lavorano in quel paese finanziamenti per progetti che fornissero l’acqua nei villaggi. Poi si è concentrato su un progetto più grande, finanziato dall’Unione Europea, a favore di quelle ragazze nigeriane che sono vittime della tratta, e finiscono sulle nostre strade italiane come prostitute.
Con la moglie fonda la Ong Mama Sofia
Nominato Ambasciatore in Congo, lo aveva impressionato il gran numero di bambini di strada della capitale Kinshasa. Se ne stimano 30-40.000. Ci diceva che voleva fare qualcosa per loro, e con la moglie Zakia aveva creato una Ong, Mama Sofia, a cui aveva dato come motto: “Ridisegniamo il mondo partendo dai bambini”.
Mama Sofia ha aiutato nella scolarizzazione di centinaia di bambini di strada, spesso appoggiandosi alle missioni in cui lavoravano missionari italiani. E l’Ong aveva anche un “ambulatorio mobile”, una grande ambulanza rifornita di medicinale e attrezzature, con la presenza di un medico. Per mezzo di essa Mama Sofia portava l’assistenza medica a molti villaggi attorno alla capitale.
Un uomo di fede
Quando è morto abbiamo ricevuto moltissime testimonianze da missionari, preti, suore e laici, che l’avevano conosciuto in Congo. Tutti hanno ricordato la grande semplicità di Luca e la sua facilità a creare relazioni di amicizia.
Era un uomo di fede, che visitando una missione non mancava mai alla messa, anche se doveva alzarsi alle 5 del mattino. Nel nostro paese di Limbiate era cresciuto all’oratorio, e ha mantenuto legami con le autorità cittadine.
Per questo il Comune ha voluto dedicargli una villa recentemente acquistata: diventerà un centro per attività culturali. E la società Gheron ha voluto dedicargli un nuovo padiglione in una sua RSA.
Salvatore Attanasio
Perché l’hanno ucciso? Le risposte nel libro di Matteo Giusti
È la domanda che si pone il giornalista Matteo Giusti nel libro “L’omicidio Attanasio. Morte di un ambasciatore”, Ed. Castelvecchi, Roma, 2021.
Per prima cosa aiuta il lettore a conosce la complessa realtà dell’est del Congo, le province di Ituri, Kivu Nord e Kivu Sud, che fanno frontiera con due vicini scomodi, Uganda e Rwanda. Sono 122 le fazioni armate, le milizie, i gruppi di auto-difesa, che l’autore recensisce: una costellazione di sigle che hanno l’unico obiettivo di sfruttare le ricchezze minerarie della regione e di vessare la popolazione.
Per disegnare questo quadro, Giusti ha visitato la regione, ha intervistato personalità significative, ha raccolto centinaia di testimonianze dalla bocca della gente.
Nella seconda parte del libro si concentra sulla figura dell’ambasciatore Luca Attanasio, facendolo rivivere nelle parole di chi, in Congo, lo ha conosciuto, apprezzato, e ora lo rimpiange, come il medico missionario Chiara Castellani: “Un vero amico, semplice e generoso, un uomo alla ricerca della verità, un giusto, il cui sangue non è stato versato invano”.
L’ultima parte del libro ricostruisce il tragico assassinio, segue le piste delle tre indagini, le ipotesi sulle cause, ma alla fine il giornalista si deve arrendere: “Dubito che si arriverà a scoprire la verità sugli ultimi attimi della vita di quest’uomo, simbolo di altruismo e generosità, che meriterebbe almeno verità e giustizia, due parole che in Congo hanno perso significato da molto tempo”.
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