Natale si avvicina. I nostri paesi, le nostre città e anche le nostre case si trasformano abbellendosi di decorazioni, di luminarie e di musiche legate a questo tempo.

Per molti il Natale è solo una festa come tante altre, ma per i cristiani è il ricordo puntuale e importante della nascita del Signore Gesù.

Come ogni anno viene a ricordarci l’amore di Dio nei nostri confronti, un amore gratuito riversato su tutti. Molte persone, cristiani o no, sentono il bisogno durante il periodo natalizio di essere migliori facendo qualcosa in favore di chi è maggiormente nel bisogno.

A noi missionari però il venire al mondo di Gesù offre sempre l’opportunità di ricordarci che l’incarnazione è e rimane stimolo e modello di ogni missione, quella della Chiesa e di ogni cristiano in essa.

Dapprima è uno stimolo. Noi siamo troppo abituati ad essere cristiani; tutto o molto ci appare scontato. Ma non è così per tutti.

Infatti, “non è la stessa cosa – scrive papa Francesco – aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascolta-re o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa” (EG 266).

Ecco perché nessuno di noi può accontentarsi della relazione personale che intrattiene con il Signore, ma deve sentire il desiderio di condividerla con altri, di far conoscere ad altri l’esperienza che anima e orienta la sua vita.

In seguito, l’incarnazione rimane sempre un modello per ogni missione, perfino per ogni rapporto con gli altri. Tre frasi del Nuovo Testamento vengono a ricordarci il metodo di Dio nel rapportarsi con gli uomini.

Dio “per primo ci amò” – scrive s. Giovanni. Non ha atteso che fossimo preparati, che fossimo santi, che ne facessimo richiesta. Fare il primo passo è il metodo di Dio.

Vi è poi l’apostolo Paolo che parlando dell’incarnazione dice che Gesù “da ricco che era si fece povero”. Anche questo fa parte del metodo di Dio: mettersi a livello della gente. Quanto è importante che si capisca di cosa parliamo, che la nostra vita cristiana non sia vissuta tra le nuvole, in un mondo che poco ha a che vedere con il quotidiano della gente.

Vi è infine un’altra parola di san Giovanni. Nell’incarnazione il figlio di Dio “pose la sua tenda fra noi”. Oltre che essere un’espressione comprensibile a un popolo nomade, ricorda a noi tutti che la vita cristiana non è qualcosa di statico, di dato una volta per tutte. Essa è e si vuole sempre in movimento, disponibile a camminare con gli uomini e le donne del nostro tempo, pronta a dire nel tempo, in ogni tempo, una parola che può cambiare la loro vita.

Imitiamo dunque Dio: ci fa bene e fa del bene.

Buon Natale!

Padre Renzo Mandirola