Il 10 maggio 1994, si concludeva ufficialmente “il lungo cammino verso la libertà” di Nelson Mandela. Quel giorno, in un clima sia interno che internazionale di generale euforia, avvenne la sua ufficiale investitura in qualità di primo presidente della Rainbow Nation, come è stato metaforicamente definito il Sudafrica multirazziale e democratico. Rolihlahla (nome xhosa di Mandela) è diventato non solo la guida di una nazione che ha vissuto un lungo periodo di oppressione e razzismo, ma è anche uno dei personaggi più rappresentativi della storia del XX secolo.

Razzismo legalizzato

Nel 1948, quando Mandela aveva 30 anni, in Sudafrica venne instaurato il regime di apartheid, in seguito alla vittoria del National Party. Il partito nazionalista – caratterizzato sia da una piattaforma politico-ideologica intrisa di razzismo, sia da una distorta concezione storico-religiosa – promulgò una miriade di leggi che legalizzavano il principio di separazione razziale. La popolazione sudafricana – attraverso il Population Registration Act (1950) – venne classificata in base al colore della pelle e, in funzione di questo, i diritti e le libertà di una persona cambiavano radicalmente. Le città – tramite il Group Areas Act – furono suddivise in una serie di zone a seconda dell’appartenenza razziale: i neri furono ghettizzati nelle aree della periferia (township), dove i servizi primari (elettricità, acqua potabile) erano in pratica inesistenti. Venne così instaurato un regime autoritario, fondato su un sistema razzista de jure e de facto, che sfruttava il basso costo della manodopera di colore.

Lottare contro le discriminazioni e le ingiustizie

Nelson Mandela (come centinaia di altri sudafricani bianchi, neri, coloured) decise di lottare contro l’oppressione, entrando nelle fila dell’African National Congress (ANC). Una delle prime azioni a cui prese parte fu la Defiance Campaign, la campagna di sfida contro le leggi ingiuste, organizzata dall’ANC e dal South African Indian Congress nel 1952. I suoi metodi di resistenza contro il governo del National Party si ispiravano, almeno inizialmente, ai principi di non violenza.

È infatti con questo spirito che appoggiò l’idea di vari movimenti anti-apartheid di promulgare la Freedom Charter (1955), documento nel quale si auspicava la creazione di un Sudafrica libero, democratico e multirazziale. Scioperi, boicottaggi, proteste pubbliche non attenuarono l’oppressione, che anzi, venne rafforzata, attraverso il sistema sia giudiziario, sia poliziesco. Mandela decise quindi di adottare una strategia di lotta alternativa, mirata a colpire obiettivi che potevano destabilizzare “il sistema”. Diede così vita all’Umkhonto we Sizwe (la lancia della nazione), ala militare dell’ANC, che aveva come fine quello di colpire lo Stato nei punti strategici cercando di evitare il coinvolgimento dei civili.

L’arresto e la lunga prigionia

Nel 1962, Mandela – insieme ad altri esponenti dell’ANC – fu arrestato e, in seguito al processo di Rivonia, venne condannato al carcere a vita. Durante il periodo di prigionia, Mandela si è sempre rifiutato di scendere a compromessi con il governo e sebbene fosse in carcere, la sua popolarità e il suo prestigio non diminuirono affatto, anzi, divenne il politico che più di altri poteva rappresentare il futuro Sudafrica libero. E così è stato. Dopo 27 anni di detenzione, molti dei quali trascorsi sull’isola-carcere di Robben Island, grazie anche alla sua lungimiranza e alla sua fermezza, alla fine degli anni ’80 iniziarono le trattative verso una modifica dello status quo sudafricano.

La liberazione e la fine del regime razzista

Nel 1990 Madiba (come è familiarmente chiamato da molti sudafricani) venne liberato e dopo varie trattative con gli esponenti del National Party furono indette nell’aprile del 1994 le prime elezioni multirazziali e democratiche: con esse terminava ufficialmente il regime di apartheid. Un anno prima, Mandela era stato insignito del premio Nobel per la Pace: riconoscimento internazionale che voleva sottolineare il suo impegno a favore di una svolta politica in un Sudafrica tormentato da decenni da oppressione e razzismo.

Ma anche dopo aver ottenuto la libertà per il suo popolo, Mandela ha continuato a impegnarsi affinché i diritti di tutti fossero rispettati. Promosse così la riconciliazione nazionale, attraverso l’istituzione della Truth and Reconciliation Commission. Si è poi impegnato attivamente per porre fine al drammatico conflitto che ha coinvolto la Repubblica Democratica del Congo alla fine degli anni ’90. Nelson Mandela è deceduto il 5 dicembre 2013, dopo aver vissuto una vita a favore della libertà del suo popolo. Una vita che dovrebbe essere da esempio per le attuali classi politiche, ad ogni latitudine del globo.

Silvia C. Turrin

Foto: nicoleconner.com.au; Pinterest; thesouthafrican.com