Ngugi wa Thiong’o (Kamiriithu, Kenya, 1938), più volte candidato al premio Nobel, è uno dei massimo esponenti della letteratura africana. Ha scritto romanzi, opere teatrali, racconti, saggi e opere per bambini, sia in inglese che in kikuyu, sua lingua identitaria e di origine.
Battezzato James Ngugi, firma con questo nome i suoi primi lavori, ma successivamente abbandona il nome coloniale insieme all’uso della lingua inglese. È fondatore e direttore della rivista in kikuyu Mutiiri.
Dopo aver studiato a Kampala, in Uganda, e a Leeds, in Inghilterra, pubblica il suo primo romanzo Weep not, child (1964), tradotto in italiano con Se ne andranno le nuovole devastatrici (Jaca Book, 1976). Ma è con A grain of wheat (1967), Un chicco di grano (Jaca Book, 1978, 2017), che guadagna la fama internazionale. Nel 1977 pubblica Petals of blood (Petali di sangue, Jaca Book, 1979), in cui condensa una dura critica alla società keniota postcoloniale. Incarcerato e poi costretto all’esilio, da tempo vive e insegna Letteratura comparata alla Yale University di New York.
Nel 2015, Jaca Book ha pubblicato i saggi Globalettica, teoria e politica della conoscenza e Decolonizzare la mente: la politica della lingua nella letteratura africana seguito, nel 2019, dal memoir Nella casa dell’interprete e dal romanzo, Il mago dei corvi, pubblicato da La nave di Teseo.
L’antologia Un angolo d’Africa: il Kenya visto dai suoi scrittori (a cura di Silvana Bottignole, Morcelliana, 1984), contiene il racconto breve, Il ritorno a casa (pp. 251-258), considerato dallo stesso wa Thiong’o come uno dei suoi lavori migliori e più incisivi.
Il ritorno a casa dal campo di prigionia, descritto in questo racconto, non è un evento lieto. Kamau, (nome molto comune tra i kikuyu), è un guerrigliero Mau-Mau che rientra a casa dopo aver passato anni in un campo di concentramento britannico, nella speranza di riprendere la sua vita così come l’aveva lasciata; tuttavia il suo rientro nella vita civile non solo non è premiato, ma è accompagnato da nuove pene.
Lo stesso Ngugi wa Thiong’o descrive la sua esperienza personale nel capitolo Il signore britannico e il servo coloniale, in Globalettica:
“Un ricordo in particolare mi è rimasto impresso. Fu il giorno del 1955 in cui ritornai al mio villaggio dopo il mio primo semestre in collegio.
Non vedevo l’ora di riunirmi ai miei famigliari, in particolare a mia madre; mi figuravo il suo sorriso. A quei tempi, per gli abitanti delle campagne, le comunicazioni praticamente non esistevano al di là del passaparola. Al mio arrivo fui accolto dallo spettacolo di ceneri e rovine bruciate. E non soltanto quelle della nostra casa.
L’intero villaggio era stato raso al suolo dalle forze britanniche, e l’intera comunità era stata trasferita in un villaggio di concentramento. Anni dopo, nel leggere la descrizione di Aimé Césaire nel Discorso sul colonialismo, degli sconvolgimenti creati dal colonialismo in termini di società prosciugate della loro essenza, culture calpestate, istituzioni sradicate, magnifiche creazioni artistiche distrutte, possibilità straordinarie spazzate via, avrei ripensato a questo spettacolo di sradicamento di tutto ciò che che aveva fatto parte della mia identità in un periodo e in un luogo specifici, ma soprattutto avrei ricordato la mia incapacità di comprendere e il ribaltamento delle mie aspettative. Erano queste cose a tormentarmi e mi dedicai alla narrativa nella speranza che mi aiutasse a capire il caos. Il mio racconto Il ritorno a casa ha una portata più universale di tutti i mie cinquanta articoli”.
Nel 2019 wa Thiong’o è stato insignito dal governo autonomo catalano del prestigioso Premio Internazionale della Catalogna per la sua difesa delle lingue africane e del multilinguismo.
Maria Ludovica Piombino
Biblioteca africana Borghero
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