Alcune settimana fa i capi di Stato del cosiddetto Gruppo G5 Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad e Mauritania) si sono riuniti con il presidente francese Macron per rinsaldare l’alleanza contro il terrorismo islamico nel Sahel. Questo azione militare è importante ma non è sufficiente. In Niger, ma possiamo dire in tutto il Sahel, occorre un lavoro di ricostruzione a livello sociale, economico, politico. Soprattutto a livello politico: è urgente che lo Stato punti sull’educazione, effettiva e inclusiva. E che assuma un ruolo deciso nel promuovere il bene comune e il diritto.

Dialogo tra lo Stato e il popolo

Un segno positivo: nella regione di Tillabery, zona calda delle “tre frontiere”, lo Stato ha istituito un “tribunale nomade”, per dirimere questioni legate alla proprietà della terra, e quindi prevenire conflitti etnici e intercomunitari legati alla terra.

Ma poi, che si continui lo sforzo per istaurare il dialogo, a livello nazionale e regionale, dialogo tra lo Stato e il popolo. Se il salafismo, la corrente islamica radicale, si propaga in Niger è perché lo Stato non svolge il proprio ruolo. La gente, stufa di essere scremata da tasse e violenze, appoggia il salafismo.

Riprogettare e ricostuire

Ma prima di tutto ciò, il primo passo da fare è quello mentale. E cioè: ricreare luoghi e spazi dove la politica sia intesa come luogo di riprogettazione e di ricostruzione di un altro immaginario sociale. Un modo per ricominciare, attraverso cantieri sociali con i poveri, con i giovani, con le donne che sono sostanzialmente escluse da tutti questi processi. Non ci sarà la pace in Niger e nel Sahel senza il coinvolgimento di tutte queste realtà.

Negli ultimi decenni, a causa anche dei programmi di aggiustamento strutturale imposti al Niger, l’educazione e la salute, come servizi dello Stato ai cittadini, sono stati smantellati. E quando lo Stato è assente si crea un terreno fertile per i jihadisti. Essi riempiono un vuoto che si è creato in questi ambiti. Io penso che il cammino da percorrere sarà lungo e difficile, quando ci sono ancora intere zone del Paese in cui lo Stato non mette più piede.

 Dare ai giovani spazi di speranza

La vera causa dell’instabilità del Sahel è la povertà, la lotta per la sopravvivenza, la ricerca del mangiare, soprattutto con le carestie e i milioni di persone allontanate dalle loro terre. Ci vuole la ricostruzione del tessuto sociale, a livello locale, che ridia speranza e vigore alla realtà infantile e giovanile che in tutti questi anni è stata completamente cancellata. Il Niger è un Paese in forte crescita demografica, con una media di età stimata a 16 anni, il più giovane Paese del mondo. La costruzione del tessuto politico del Paese andrà di pari passo con l’affermazione di una società che, avendo come riferimento la Costituzione e i suoi principi di sovranità popolare, sacralità della vita e giustizia sociale, offra ai giovani ragioni e spazi per sperare.

Foto: Unicef

P. Mauro Armanino, da Niamey (qui sotto nella foto)