Il Niger è uno degli stati più poveri al mondo. Pochi i turisti “mordi e fuggi”. Chi viaggia in Niger vuole scoprire antiche tradizioni di un’Africa occidentale che sta mutando sempre più, in quanto soggetta (e oggetto) della globalizzazione e dell’instabilità politico-sociale. Purtroppo, negli ultimi anni, il Niger è diventato insicuro a causa dei fenomeni di matrice terroristica. Numerosi i rapimenti (tra i più recenti vi è quello di Padre Pier Luigi Maccalli) e gli atti di criminalità ai danni di cittadini occidentali. Per viaggiare in Niger occorre avere una scorta o comunque essere protetti da chi sa come muoversi nel paese. Sono quindi sconsigliati viaggi “fai da te”. Detto ciò, questa nazione dell’area saheliana rimane uno degli Stati africani in cui sopravvivono rituali e festival ancestrali.

Grande quasi tre volte la Francia, il Niger si può definire come sorta di “collegamento” tra il Maghreb e l’Africa subsahariana. Questo legame di unione tra il nord e il resto del continente lo si vede incontrando i vari gruppi etnici che compongono il mosaico di popoli del Niger. La maggior parte degli abitanti vive nelle regioni meridionali del paese, meno desertiche rispetto alle zone settentrionali.

 

Gli Haoussa costituiscono circa il 50% dell’intera popolazione e si concentrano nell’area al confine con la Nigeria. Secoli fa abitavano anche in altri territori, come la regione dell’Aïr, dalla quale sono stati però cacciati dai Tuareg. Gli Haoussa si dedicano all’agricoltura e all’artigianato; sono inoltre abili commercianti e hanno sviluppato numerose relazioni economiche con la vicina Nigeria. Questa etnia è legata all’Islam e si dice che l’avo, fondatore della comunità sia originario del Medio Oriente, precisamente di Baghdad. Tuttavia, queste analisi storiche risentono proprio dell’influsso dell’Islam avvenuto solo in tempi recenti. In realtà, gli Haoussa hanno una matrice africana.

In Niger vi è poi il gruppo Songhai, a sua volta costituito da vari clan etnici. I Songhai vivono soprattutto lungo il fiume Niger, nella zona occidentale del Paese. Non a caso, la loro vocazione principale è quella di pescatori, oltre che di agricoltori. Le loro origini non sono locali, bensì sarebbero berbere. I Songhai sono noti agli storici dell’Africa per aver fondato il Regno omonimo, la cui massima estensione e potenza è datata tra il 1464 e il 1492.

 

Numerosi sono anche i Peul, dediti principalmente alla pastorizia; quindi molti di loro vivono in una condizione di nomadismo. All’interno dei Peul vi è la comunità dei Wodaabe, famosi per la straordinaria e colorata festa “della bellezza”, chiamata Gerewol. Si tratta di un evento unico nel suo genere, poiché i giovani indossano abiti tradizionali e colorano il viso in modo accurato. Quella del Gerewol è una festa in cui dominano danze e rituali antichi. Ma è anche una festa che permette alle comunità nomadi dei Peul di ritrovarsi. La cerimonia del Gerewol, organizzata nel mese di settembre, si trasforma in un grande raduno di famiglie e di mandrie ed è l’occasione ideale per trovare moglie o per celebrare nascite.

Un altro gruppo importante in Niger è quello dei Tuareg (i kel tamasheq, ovvero “coloro che parlano il tamasheq”) che vivono al confine con il Mali e nella regione dell’Aïr. La storia recente dei Tuareg è scandita da ingiustizie e dalle difficoltà ad assimilarsi a modelli sociali a loro estranei. Emblematica è la storia di Mano Dayak, nato nel 1950 in un clan Tuareg a Tidene, a nord di Agadez, nella zona dell’Aïr. Fu lui a far conoscere all’Occidente la vita e i problemi degli “uomini blu del deserto”. Questo popolo nomade è ancora in cerca di una reale autonomia e di uno sviluppo economico in linea con le loro tradizioni. La caduta di Gheddafi, ritenuto il loro storico protettore, li ha resi più “vulnerabili” e ha alimentato il loro desiderio di riscatto.

Vi sono altri gruppi etnici in Niger, come i Kanuri. Le varie comunità che compongono la popolazione del Paese (17.850.000 abitanti circa), al di là delle differenze linguistiche e storiche, sono accomunate dagli stessi problemi ecologici ed economici. Nelle filosofie tradizionali africane la comunità nel suo complesso risulta centrale. La terra e l’acqua sono beni comuni. In uno stato come il Niger soggetto sempre più alla desertificazione occorre che tutti i gruppi etnici si uniscano per affrontare questa sfida. Né i traffici di armi, né i traffici di esseri umani potranno salvare i nigerini dal sopraggiungere delle sabbie del deserto sui loro pascoli e campi. Occorre una nuova visione del Niger e dell’Africa nel suo complesso.

Silvia C. Turrin

Foto: Dan Lundberg/Flickr.com; wikimedia; kwekudee-tripdownmemorylane.blogspot.com