Era il 2018 quando Amnesty International lanciò una campagna in difesa dell’attivista ambientale sudafricana Nonhle Mbuthuma. Originaria dell’Eastern Cape, Nonhle aveva subito minacce per l’impegno profuso nella protezione del suo popolo, gli Amadiba, e della sua terra ancestrale.
I pericoli per la sopravvivenza della sua comunità e per la salvaguardia dell’ambiente sorsero agli inizi del XXI secolo, quando una società mineraria australiana mostrò interesse per l’estrazione di titanio nei territori della comunità degli Amadiba, nel Mpondoland. Secondo un’analisi esplorativa, questa zona del Capo Orientale sarebbe ricchissima di questo prezioso minerale, utilizzato in vari settori industriali, come quello aeronautico e aerospaziale.
Studi ambientali avevano sollevato critiche al progetto di estrazione. I primi oppositori a una miniera di titanio furono naturalmente gli abitanti locali, che costituirono un Comitato ad hoc per difendere i diritti della loro comunità.
Il coraggio e la dignità degli Amadiba sono noti sin dai tempi oscuri dell’apartheid. Infatti, in quegli anni in cui vigeva il dominio dell’élite bianca, gli Amadiba rifiutavano qualsiasi autorità estranea al loro clan, quindi non accettavano quelle decise dall’allora governo di Pretoria. Da oltre 300 anni, gli Amadiba abitano la regione del Mpondoland, nell’Eastern Cape. Una zona geograficamente molto variegata, caratterizzata da montagne, praterie e aree costiere umide.
Per gli Amadiba questo è un territorio sacro, che occorre proteggere.
Grazie alla loro tenacia, il progetto di realizzare una miniera di titanio si è arenato, lasciando però dietro di sé la morte misteriosa di Sikhosiphi “Bazooka” Rhadebe, presidente del Comitato di crisi degli Amadiba.
Sikhosiphi venne assassinato fuori casa da uomini che si spacciavano per poliziotti. Si pensa che fossero legati alla lobby favorevole alla miniera di titanio.
Dopo l’uccisione di Rhadebe, presidente del Comitato di crisi degli Amadiba è diventata Nonhle Mbuthuma.
“Questa era la terra di mia nonna, che a sua volta l’ha ereditata dai suoi nonni. Cosa lascerò ai miei figli? L’estrazione non si farà. Non è un’opzione”, ha dichiarato Nonhle.
Per il suo lavoro di attivista ambientale ha ricevuto numerose intimidazioni, intensificatesi a seguito di un altro progetto minerario potenzialmente devastante.
Minacce agli ecosistemi dell’Eastern Cape provengono infatti da un’altra multinazionale straniera, la britannica Shell (che ha già prodotto enormi danni in altre zone dell’Africa, come nel Delta del Niger) intenzionata a condurre indagini sismiche al largo della Wild Coast, un’area ricca in biodiversità marina, per individuare giacimenti di petrolio e gas.
Le acque di questa zona sono habitat ideali per numerose specie ittiche e per diversi cetacei, come megattere e balene australi che qui trovano rifugio durante le loro migrazioni. Nonostante i delicati equilibri dell’ambiente marino della Wild Coast, il governo sudafricano aveva concesso alla Shell i diritti di esplorazione per individuare riserve di petrolio e gas. Una decisione osteggiata non solo dalla comunità degli Amadiba, ma anche da tutti coloro che hanno a cuore gli ecosistemi marini, tra cui Nonhle Mbuthuma.
“Gli esseri umani non sono più importanti della Natura. Dobbiamo prenderci cura della Natura perché si prende cura di noi, non possiamo sopravvivere senza la Natura”, ha affermato l’attivista ambientale sudafricana.
Proprio grazie all’attivismo di Nonhle Mbuthuma, supportata da Sinegugu Zukulu (della ONG Sustaining the Wild Coast, impegnato a promuovere la sostenibilità ambientale), e al sostegno della comunità degli Amadiba, anche la Shell ha dovuto fare un passo indietro.
La sconfitta (almeno momentanea) della Shell è stata possibile grazie all’unità della popolazione locale e alla perseveranza degli Amadiba nel portare avanti la loro causa.
Tra le azioni promosse da Nonhle e Sinegugu per protestare contro il progetto di indagine sismica della Shell ricordiamo la “camminata comunitaria” (che ricorda le marce non-violente di Gandhi) di sette chilometri lungo la costa. Durante il percorso le persone hanno invocato gli antenati pregandoli di sostenere la loro causa legale.
Per effetto della mobilitazione, le autorità giudiziarie sudafricane hanno dato ragione agli Amadiba.
E per il loro impegno Nonhle Mbuthuma e Sinegugu Zukulu hanno ricevuto nel 2024 il Goldman Prize, prestigioso riconoscimento che supporta quelle persone, nel mondo, impegnate nella difesa dell’ambiente.
a cura di Silvia C. Turrin
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Foto: Amnesty International Ireland; SowetanLive; Goldman Prize