Omelia di p. Gigi Maccalli alla messa di conclusione del pellegrinaggio a Caravaggio

Ho atteso a lungo questo giorno. Come oggi, un anno fa, camminavo ancora sulla sabbia del Sahara e recitavo il mio rosario annodato di tanti perché. Il mio pensiero vagava in tante direzioni, il mio cuore era carico di preghiera per le periferie del mondo e tutto affidavo a Maria che scioglie i nodi e allo Spirito Santo.

È tra quelle dune di sabbia con lo sguardo sull’infinito che mi sono detto: un giorno andrò a piedi al santuario di Caravaggio e lì canterò il mio Magnificat.

Vi confesso che la preghiera che più faticavo a pronunciare in quel deserto era il Magnificat, lo pregavo a denti stretti in fiducia pensando alle grandi cose compiute da Dio in Maria e attraverso di lei, ma non provavo nessuna esultanza di gioia.

Il mio viaggio era ancora fermo alle parole dell’angelo Gabriele all’Annunciazione: “Non temere, Maria” che risuonavano in me come una eco: “Non temere, Gigi”. Pregavo e ridicevo il mio “eccomi” turbato e fiducioso e speravo di poter completare un giorno il mio viaggio con l’abbraccio del Magnificat qui a Caravaggio.

Sono oggi in questo santuario il 17 (ricordo del mio rapimento), di maggio (mese mariano) e nella settimana che porta a Pentecoste. Non potevo sperare migliore coincidenza. Sono qui insieme ai miei compagni nella prigionia, la vergine Maria e lo Spirito Santo e con cuore grato rivolgo alla diocesi di Crema (guidata dal suo vescovo mons. Daniele), a tutti voi qui convenuti o connessi via streaming il mio “GRAZIE” dal profondo del cuore per avermi sostenuto, accompagnato e abbracciato con il vostro affetto e la vostra preghiera fedele durante i lunghi mesi del mio sequestro. Davvero grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome. Sì, ora posso dire:

“L’anima mia magnifica il Signore e il mio Spirito esulta in Dio mio salvatore”

GRAZIE ai monasteri di clausura e alle tante persone che nell’intimità delle mura domestiche e attraverso veglie e marce hanno sgranato rosari e acceso una luce per illuminare la mia notte oscura.

Grazie alle Suore Clarisse di Sarzana per questo preghiera umile e costante, insieme a tante persone e monasteri che hanno avuto a cuore questo intenzione.

GRAZIE a tutti e non lasciamo spegnere il cero della speranza/preghiera, altri ostaggi sono a tutt’oggi prigionieri e vittime dell’oscurità. Purtroppo ai 7 ostaggi del Sahel che ho più volte citato se ne è aggiunto un 8°. Li ho sovente nominati, ma permettete che lo faccia di nuovo oggi, qui in questo santuario, per rendere concreto e presente il loro grido di dolore e la speranza delle loro famiglie di riabbracciarli presto.

Prima l’unica donna: Suor Gloria Cecilia Narvaez Agoti (colombiana) ostaggio da 5 anni. Iulian Ghergut, (Rumeno). Arthur Kenneth Elliott (australiano) di 85 anni e Jeffrey Woodke, (americano). Jörg Lange (tedesco) e Christopher Bothma (sudafricano). Il sacerdote Joel Yougbaré (del Burkina Faso) e ora anche Olivier Dubois (giornalista francese) quest’ultimo rapito il mese scorso.

Questa celebrazione è preghiera di intercessione per loro e supplica per la Pace. Smettano tutte le guerre e violenze e venga il regno di Dio che Gesù in croce ci ha consegnato affidandoci sua madre, regina della pace.

Il vangelo ci ha riportati sul Golgota e riproposto il dolore di Gesù in croce e la sofferenza dei suoi cari, sua madre Maria e il discepolo amato. Non lasciamo cadere invano le 7 parole del crocefisso pronunciate prima di rimettere lo Spirito. Tra queste mi è caro richiamare particolarmente quel: “Padre, perdona loro”.

Ciò che disarma la guerra e spezza le catene dell’odio è riconoscerci tutti fratelli perché siamo figli dello stesso Padre. Di quel Padre che fa piovere su tutti e fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi. La fraternità con tutti unita la perdono per tutti è via della pace.

Durante questo due anni abbiamo sperimentato la forza della preghiera corale. Ogni 17 del mese avete organizzato una cordata di preghiera che traduce bene quanto ci ha ricordato la prima lettura: “Tutti erano assidui e concordi nella preghiera”.

Il mio nome ha fatto da collante. Un nome concreto di un cremasco per alcuni, di un amico per altri, di un fratello nella fede per tanti. Questo nome ha creato un movimento silenzioso di comunione che ha sfidato il freddo, il caldo, la pioggia e anche il covid.

Siete stati davvero tanti e fedeli, Ne sono stato edificato e meravigliato nell’apprenderlo.

Ma ora può subentrare un senso di appagamento, dire: “punto a capo”. Abbiamo dato e abbiamo ricevuto, adesso si ritorna a casa e alla normalità. Grave errore!

Qualcuno mi ha scritto in questo termini, che mi sembrano un po’ dal tono trionfalistico: Dio ha esaudito la nostra preghiera. Scusate ma allora perché non ha esaudito anche la preghiera degli altri ostaggi e delle loro famiglie?

Suor Gloria è ostaggio da 5 anni, la sua comunità/famiglia/paese forse non pregano? perché Dio ha ascoltato la ns preghiera e non la sua/e quella degli altri ostaggi che sono stati rapiti molto prima di me? Dio è forse capriccioso? o la preghiera è un jukebox a gettoni?

Ci vuole attenzione e tanta umiltà. Simili affermazioni possono ritorcersi contro la fede e molte persone, nel dolore, si sentono ferite e abbandonano la preghiera e la fede.

Questo cuor solo e anima sola che abbiamo sperimentato è l’essenza della Chiesa di Pentecoste che vi invito a conservare e perseverare con la stessa intensità di cuore per gli altri ostaggi e situazioni di vittime innocenti per disgrazie, pandemie e malattie e soprattutto per la Pace in Africa, in Israele, nel Mediterraneo.

Lo ripeto, non perdiamo questo flusso di energia vitale che è il cuore della fede e l’anima della Chiesa. Ho raccolto da papa Francesco questo sua parola, in una udienza del mercoledì di qualche settimana fa: “Ciò che nasce dalla preghiera e non dalla presunzione del nostro io, ciò che viene purificato dall’umiltà, anche se è un atto di amore appartato e silenzioso, è il più grande miracolo che un cristiano possa realizzare”.

Il miracolo della nostra liberazione, dico nostra (perché non sono stato liberato solo io, ma tutti voi avete sperimentato la gioia di questo liberazione, questa liberazione è opera di questa preghiera incessante e fedele: erano assidui e concordi.

Fino ad oggi il mio nome, ‘padre Gigi’, era sulle vostre labbra, ma vi voglio rivelare che ho anche un altro nome. A Bomoanga: per la mia gente sono padre Untaani, che significa “Dio raccoglie in unità”

Questo secondo nome ricorda che nessuno è perno da solo. Con lo stesso termine, in gurmancema, si forma la parola “chiesa/assemblea”. Sì, la preghiera ci ha fatto crescere come Chiesa/popolo di Dio, siamo interconnessi, responsabili gli uni degli altri. L’umanità è nostra sorella per lei preghiamo e agiamo per costruire insieme (assidui e concordi) ponti di fraternità e cammini di libertà. Grazie di non disperdere tale ricchezza in comunione con Maria e lo Spirito Santo.

Per questo desidero lasciarvi un piccolo segno,che vi sarà consegnato alla fine della messa. È il mio rosario di stoffa che per due anni ho pregato ogni giorno. Un rosario di 10 nodi: siano questo 10 Ave Maria quotidiane a tenerci uniti come popolo di fratelli e a intercedere per la pace.

La finestra sugli ostaggi ci fa scorgere il bisogno di pace di cui l’Africa soffre. Non chiudiamo questo finestra sul mondo e sulle periferie esistenziali/poveri. Non torniamo alla normalità dell’individualismo, viviamo con intensità il nostro presente, perché il presente è il tempo di Dio.

Tutti voi ringrazio e vi benedico così:

“Prendetevi tempo per pregare ed amare perché questo è il privilegio che Dio vi dà.

Prendetevi tempo per pregare ed essere amabili perché questo è il cammino della gioia piena.

Prendetevi tempo per pregare e amare ogni persona come un fratello/sorella e fatelo con molta tenerezza perché la vita è troppo corta per essere egoisti. Amen”