“Dal momento in cui è uscito dal palazzo della Farnesina, venerdì sera alle 18.30, fino a sabato alle 10.30, quando è partito con i familiari per raggiungere la casa di famiglia a Madignano, ho avuto la fortuna di trascorrere con lui 15 ore. Momenti che non dimenticherò mai, che resteranno per sempre impressi nei miei occhi e nella mia mente”, così racconta p. Antonio Porcellato, superiore generale della SMA, che in questi ultimi due anni ha seguito molto da vicino le vicende di p. Gigi, tenendo i contatti, a nome dell’istituto, con l’Unità di Crisi della Farnesina.


Il video dell’accoglienza di p. Gigi alla casa generalizia SMA e le sue prime parole ai confratelli


P. Antonio ci racconta che P. Gigi ha parlato per un’ora, senza stancarsi. Si vedeva che dopo due anni di silenzio e solitudine, aveva bisogno di sentirsi in famiglia, di sentirsi accolto e ascoltato.

Il missionario è l’uomo della parola, dell’annuncio. P. Gigi per due anni ha invece sperimentato il silenzio. Senza una Bibbia, senza la Parola di Dio e l’Eucaristia, ha detto che ha imparato ad ascoltare il silenzio. Il silenzio del grande deserto del Sahara, il silenzio interiore. Come il profeta Elia, ha potuto sentire la presenza di Dio nella brezza silenziosa, nella solitudine. Ha trovato quel Dio che lo ha sempre sostenuto.

Continua il racconto di p. Antonio: “Stamattina, sabato, p. Gigi con i familiari è venuto alla messa di comunità, alle 7.30. Era la prima messa a cui poteva concelebrare dopo più di due anni di digiuno eucaristico. Presiedeva il giovane confratello nigeriano p. John. Una messa semplice, feriale. Al momento dell’omelia p. John non ha voluto dire niente. Ci ha detto: ‘facciamo silenzio, lasciamo scendere nel cuore quello che abbiamo vissuto in questi giorni’. Abbiamo tutti apprezzato, e in quei momenti di silenzio abbiamo interiorizzato parole e avvenimenti di cui siamo stati testimoni privilegiati.”

P. Antonio ha ricordato un episodio di sabato mattina. P. Gigi e i familiari iniziavano il viaggio verso Madignano, il paese natale. Lì farà la quarantena. Ma prima di uscire da Roma Gigi ha chiesto di poter fermarsi al cimitero di Primaporta. Lì è sepolta Miriam Dawa, una ragazzina del Niger di 13 anni, che p. Gigi era riuscito a far venire in Italia, all’ospedale Bambin Gesù, per delle cure al cuore. Ma la malattia era più grave del previsto e Mariam non ce l’ha fatta. La famiglia aveva accettato che fosse sepolta a Roma.

Sulla sua tomba p. Gigi ha pregato brevemente, si è inginocchiato. Poi ha cercato in auto il suo rosario della prigionia, fatto di stracci annodati. Ha voluto che rimasse lì, appeso a un braccio della croce della tomba.

“Un gesto che mi ha profondamente colpito, un gesto bellissimo, importante”, sottolinea p. Antonio.

Ci sono altre cose che p. Antonio non dimenticherà mai di quelle ore: “La grande fede di Gigi, nonostante i dubbi. Gigi ha detto che all’inizio si è un po’ arrabbiato con Dio: perché aveva permesso questo? In quel deserto si sentiva abbandonato, non sapeva dove ogni volta lo portavano i suoi carcerieri. Dubbi anche sul ruolo della SMA: cosa stanno facendo per liberarmi?”

Ma p. Gigi non ha mai perso la speranza, la fiducia, il senso della presenza di Dio che lo accompagnava ovunque, dice p. Antonio.

I suoi compagni di prigionia si erano convertiti all’Islam, più per convenienza che per convinzione, per aver un trattamento migliore. Lui ha sempre resistito alle insistenze dei terroristi. “È sempre rimasto sereno nella sua fede, indefettibile nel suo rapporto con il Signore”.

“Mi ha colpito anche il suo appello al perdono, alla fraternità, alla speranza che si possa arrivare a una comprensione con i jihadisti”, continua p. Antonio. “Ci sono altri ostaggi rimasti nelle mani dei terroristi. Dobbiamo avere in noi l’ideale della fraternità, insiste p. Gigi, e cercare di risolvere i nostri conflitti e le nostre incomprensioni con la non violenza”.