P. Carlos Bazzara, nella sua nuova lettera, ci descrive la vita e le abitudini dei Bayaka, nel villaggio di Mabondo (Repubblica Centrafricana), in cui è missionario SMA.
Cari amici, vi presento alcuni “pensierini” partendo dalla vita quotidiana nel mio villaggio Mabondo, circondato da una densa foresta, e composto unicamente dall’etnia Bayaka (conosciuta comunemente col nome di pigmei). L’organizzazione di questo villaggio riflette l’organizzazione sociale.
A Mabondo le capanne stanno una accanto all’altra seguendo liberamente un piccolo sentiero.
Ogni capanna è fatta di una armatura emisferica flessibile di rami ricoperta di grande foglie, dove abita la famiglia coniugale in circa tre metri quadrati.
Il fuoco all’interno della struttura è l’elemento vivo che protegge dal freddo della notte. Solo alcuni hanno un piccolo banchetto per sedersi fuori: la maggioranza si siede per terra o su un pezzo di legno.
Negli ultimi tempi si vedono case quadrate con muro in terra battuta e tetto con foglie intrecciate di bambù (influenza, questa, derivante da altre etnie e anche segno di sedentarizzazione).
Tra i pigmei non c’è gerarchia tra loro: sono tutti eguali. Da qualche giorno è stato scelto Jean Pierre come capo-villaggio per rappresentare loro nella vita sociale con altri villaggi. Jean Pierre diventa anche autorità per risolvere i problemi della vita comunitaria (ma alcuni hanno difficoltà ad accettare uno di loro come “capo”).
A livello lavorativo, talvolta i Bayaka si offrono come manovalanza (sfruttata) in cambio di manioca. Allo stesso tempo, continuano a essere legati alla foresta, nell’attività di cacciatori e raccoglitori. Si dimostrano reticenti nel coltivare campi e diventare agricoltori o allevatori. Vedendo i loro strumenti di lavoro e le loro capanne possiamo dire che vivono la cultura dell’effimero. C’è chi si irrita, perché alcuni di loro non vogliono costruire migliori abitazioni. Vero, ma penso che non tutti abbiano bisogno di cambiare certi aspetti della propria cultura. Va bene migliorare alcune condizioni sociali, ma, a volte, bisogna rispettare lunghi processi.
Questo popolo è diventato semi-nomade da molto tempo, ma adesso il processo di sedentarizzazione è minacciato a causa della distruzione della foresta in mano alle compagnie straniere del legno. Una di queste, ha già cominciato il taglio degli alberi in una zona non lontana dal nostro piccolo villaggio. Peccato sociale!!!
Insieme al legno, i profitti se ne vanno fuori del paese e ne rimangono solo un po’ nella tasche di alcuni governanti… soltanto la natura distrutta e la desolazione restano accanto ai poveri.
Il ritmo delle differenti attività è seguito con una finezza di percezione straordinaria, grazie alla quale i Bayaka si adattano velocemente a tutti i cambiamenti, così da ottenere qualcosa di buono in ogni occasione. Questo ci dimostra una mobilità di spirito molto speciale, senza la quale è difficile adattarsi alla vita della foresta.
Assicurarsi la sopravvivenza e la prosperità esige una grande perspicacia dei sensi, uno straordinario sviluppo dell’attenzione, dell’osservazione e d’interpretazione di tutti i segni per arrivare all’animale cercato (la cui carne viene in parte venduta), oppure ai migliori frutti e alle differenti foglie usate nella preparazione del cibo.
Il dominio del mondo naturale della foresta è intimamente legato al desiderio di “un’unione armonica col mondo spirituale”. Per i nostri pigmei, gli spiriti dei loro antenati vivono in piena foresta. La sfida consiste nello stabilire un rapporto sano con il mondo “spirituale” della foresta e ottenere la loro “protezione”.
Noi missionari di oggi, apprezziamo molto il lavoro già fatto in precedenza, prima del nostro arrivo, nonostante la comunità di fede di Mabondo sia ancora debole e piccola. La missione di prima evangelizzazione è molto lenta e dobbiamo rispettare molto l’inerzia di certi cambiamenti. Purtroppo, a volte, ci manca la saggezza sufficiente per accettare questi processi.
Mi chiedo: non ci starà mancando a noi missionari una “mobilità di spirito” più acuta, uno sviluppo maggiore di attenzione, osservazione e deduzione del nostro primo annuncio e catechesi per arrivare a un messaggio più inculturato? Il processo che loro devono attraversare e assimilare non è semplice, anzi, è complesso e richiede oggi una finezza di spirito che a volte ci manca.
Per finire: nell’ambito sociale, l’accompagnare questo popolo – che è stato sottomesso e marginalizzato – a mettersi in piedi nuovamente non è semplice. Si tratta di un processo bello, però molto difficile, perché dobbiamo accompagnare senza paternalismi, correggere senza scoraggiare, seppellendo un assistenzialismo sempre vivo e accettando che si cammini in una realtà quotidiana avvelenata “mortalmente” di un alcolismo cronico, di una tubercolosi endemica (nel nostro villaggio abbiamo parecchi casi) e di una povertà strutturale, che assaliscono quotidianamente il popolo.
È per questo che si mette al centro la scuola, intesa come priorità assoluta, tenendo conto anche delle numerose qualità umane dei Bayaka.
Tutte queste sfide fanno sì che la nostra missione sia ogni giorno più appassionante
e mi ha preso il cuore!!!
Padre Carlos Bazzara – SMA
Mabondo – Repubblica Centrafricana