Dalla nuova missione presso i pigmei del Centrafrica, p. Carlos Bazzara ci condivide le sue prime impressioni. Tra sfide, speranze e primi passi, scopriamo un missionario contento di vivere tra gli emarginati.
Sono da alcuni mesi nella parrocchia di Mabondo, nella foresta Centroafricana. Vorrei fare mia la dedica che fa Paulo Freire nel suo libro “Pedagogia degli oppressi”:
“Agli emarginati del mondo, e a quelli che identificandosi con loro, soffrono e lottano con loro”.
Mabondo è un bel paesino di 200 persone della etnia Bayaka o pigmei che, secondo alcuni autori, sono in via di estinzione. È un popolo nomade che vive della caccia e della raccolta di foglie e di frutti, ma è anche esperto della foresta e della sua farmacopea. Tra tutte le etnie della regione, sono i pigmei che hanno mostrato più rispetto verso la natura e una più grande capacità di vivere in armonia con il loro ambiente. Sono conosciuti anche come buoni cantanti e danzatori.
Attualmente, la foresta, devastata dalle società che sfruttano il legname, offre loro soltanto un precario rifugio. In altri tempi le loro relazioni con le altre etnie bantù erano da pari-a-pari, ma adesso ne sono sfruttati. Il tema è certamente complesso, merita approfondimento e molta attenzione per una pastorale che si vuole liberatrice.
La missione di Mabondo si occupa di dodici comunità e alcune sono a 3 ore di macchina. Io mi considero in una fase di atterraggio, vivo questa tappa con massima umiltà imparando la lingua per entrare in una nuova cultura. Tappa dove le mie domande sono più numerose che le risposte, naturalmente. Le sfide sono tantissime e come dappertutto, la tentazione è sempre di fare una pastorale di “manutenzione sacramentale” e “assistenziale” sul piano sociale.
La prima impressione che ho per il momento (ma bisogna riflettere), è che si dovrebbe ripensare la nostra pastorale nel mondo Bayaka.
Sento come un pugno allo stomaco ogni volta che entro o esco da un villaggio e vedo le capanne di foglie dei pigmei che le abitano; sono diventati mano d’opera sfruttata dalla gente nei vari villaggi… Credo che tutti siamo colpevoli, cominciando dallo Stato che è preoccupato soltanto di salvare la capitale Bangui e vincere una nuova elezione, ma mancano scuole, strade, lavoro e sicurezza.
In breve: si vive una povertà strutturale che spinge i più poveri a tuffarsi nell’alcoolismo, vero flagello nella nostra attualità.
Per finire, sono molto contento perché la missione è ogni volta sempre più bella… perché “siamo missione”!
P. Carlos Bazzara