Sono in un villaggio a 120 km da Niamey, la capitale del Niger e a 5 km dalla frontiera col Burkina Faso. Sto percorrendo il mio decimo anno in questo paese al 98% musulmano. Tante volte mi sono chiesto quanto dell’Africa porto nel mio cuore, oppure in quale misura l’Africa mi ha cambiato in certi aspetti della mia vita.
La spiritualità dell’Islam e la spiritualità cristiana
Ma la domanda concreta che mi è stata posta è: in che misura la spiritualità dell’Islam ha toccato la mia spiritualità? Nel villaggio del Niger dove ho vissuto i miei 8 anni in Niger, si vedeva poco la presenza musulmana nella vita quotidiana. I mussulmani non avevano neppure una moschea. Nonostante questa presenza timida dell’Islam sono stato sempre colpito dal vedere pregare i nostri fratelli prostrati verso la Mecca. A volte anche mentre erano in viaggio in bicicletta, per andare in un altro villaggio: si fermavano a lato del sentiero, stendevano la stuoia e facevano la loro preghiera.
Mi ricordo sempre le parole di fratel Charles di Foucauld (oggi beato e patrono della mia parrocchia di Kankani) sull’impatto che ebbe sulla sua conversione il suo primo viaggio in Marocco: vedere quelle anime sempre in presenza di Dio, in adorazione dell’assoluto di Dio. Perciò ogni volta che vedo un musulmano prostrato verso l’oriente la mia preghiera si eleva spontanea verso l’Altissimo.
Il Dio lontano e esigente
La missione se non è anche contemplativa non è la Missio Dei. Il tesoro più impressionante del cristianesimo è la vicinanza di Dio: un Dio fatto uomo, qualcosa di inconcepibile per le altre religioni, un Gesù che diventa il nostro amico intimo, il nostro corpo umano che diventa Tempio dello Spirito Santo. Questo ci ha permesso di sviluppare una spiritualità profondamente incarnata nella vita, e ci sfida a trovare Dio nel cuore degli altri, soprattutto dei più poveri e sofferenti. La preghiera musulmana, invece, è l’adorazione e la lode del servo, nella forma del culto spoglio ed esigente. Quest’atteggiamento presuppone l’idea di un Dio che vuole salvaguardare la sua trascendenza in maniera molto netta.
La preghiera è incoraggiata dalla gratitudine, dall’adorazione, dal senso di dipendenza, dalla transitorietà del creato. L’islam sa che è suo compito farsi testimone dell’umile preghiera del servo (‛abd). Il credente, pieno di timore riverenziale (taqwâ) e di pietà rispettosa (khushû‛), ripete nella preghiera la sua totale sottomissione a Dio, la sua riconoscenza. E attende il perdono da Colui “che vede con chiarezza” (Corano, Sura 58,1), nel desiderio di essere finalmente a lui accetto (Sura 89,30). Ma col passare degli anni credo di aver dimenticato di meditare sull’Assoluto di Dio, sulla Grandezza di Dio (“Dieu est grand!”, si dice continuamente e banalmente in quest’Africa islamizzata).
Ho riscoperto l’Assoluto di Dio
E credo che è questo il punto centrale dell’influenza musulmana sulla mia spiritualità. Non è che ignorassi questa dimensione, ma i musulmani mi hanno aiutato a recuperarla, e a cercare di approfondire quest’aspetto della nostra spiritualità, sulle tracce dei grandi mistici, perché in definitiva siamo pellegrini con Gesù verso l’Assoluto di Dio. Come diceva San Giovanni della Croce: occhi in alto, mani giunte e i piedi nudi per terra. Due anni sono passati, e dei benefattori arabi hanno finanziato la costruzione di una moschea nel mio villaggio.
I richiami alla preghiera fatti con l’altoparlante si sovrappongono adesso alle nostre campane, in questo paesaggio religioso campestre. Devo confessare che all’inizio mi disturbava un po’, ma pian piano la voce del muezzin è diventata musica nel mio cuore. Con il marabutto del villaggio c’è una buona e cordiale relazione. Il dialogo teologico si farà nelle città, noi qui in campagna facciamo il dialogo della vita quotidiana in pace. Senza ignorare le difficoltà, credo che in Niger noi cristiani e musulmani possiamo vivere in pace, imparando gli uni dagli altri.
P. Carlos Bazzara, SMA, da Kankani (Niger)