Ero già stato, alcuni giorni fa in alcune fattorie in mezzo alla savana boschiva, dietro Kadambara, verso il sud. Bisognava inoltrarsi per una quindicina di km, su una pista sterrata, per raggiungere i luoghi. Una serie di agglomerati, di una ventina di persone ciascuno, distanti l’un dall’altro, un tiro di freccia. Anche loro bisogno pressante di acqua.

Ogni tanto incontravo una mamma con un bambino, seduta ad un’ombra precaria, oppure un bambino in braccio a sua mamma che mi guardava.

Prendiamo poi un viottolo in mezzo agli alberi e ci dirigiamo verso un altro nucleo familiare. Incontriamo un abituro rotondo, tradizionale, accanto ad una costruzione moderna. Un anziano ci accoglie sotto una veranda, ci salutiamo e scambiamo le notizie. Erano venuti alla missione e, a nostra volta, siamo venuti a ricambiare la visita. Faremo quello che potremo per aiutarli. Ci viene allora incontro un vecchio con un bambino in braccio, forse suo nipote. Anche lui ci guarda con un sorriso che guarda lontano e con occhi pieni di speranza.

Ci mettiamo poi sotto un albero, un po’ in disparte dalle abitazioni, per i saluti finali e il congedo.

Mercoledì 8 gennaio con Iroko, Gaulé, e il loro autista, ci dirigiamo in tutt’altra direzione. Prendiamo la strada che va verso il Benin, poi ad Afadadè, infiliamo una pista laterale che non conoscevo, e via per una decina di km in mezzo alla savana. Ogni tanto un villaggetto con la sua immancabile moschea. Una mi colpisce particolarmente: appena uscita dal terreno, nuova, pulita e…pronta all’uso.

Il villaggio non è sulla pista. Ad un certo punto bisogna fare una deviazione, ed entrare in mezzo agli arbusti: la vettura passa appena appena.

Anziani, giovani, donne, bambini, tutti erano là ad accoglierci, sotto il grande albero. Sono tutti musulmani. Commossi dal gesto che abbiamo fatto: siamo venuti a trovarli nel loro villaggio, grande, sparpagliato, e perduto in mezzo al nulla. Ed uno ad uno passano a salutarci. Le donne sono sedute dietro a noi, gli uomini davanti i cerchio.

Un gruppo di donne si avvicina e depone davanti a noi, cioè Iroko, Gaulé, il loro autista, ed io, un secchio: Ecco l’acqua che troviamo, ci dicono.

Ci scambiamo le notizie. “Eravate venuti a trovarmi, dico, e noi, a nostra volta, siamo venuti a trovarvi, per mostrarvi che non siete soli, che siamo accanto a voi.

Quando uno desidera arrampicarsi su un albero, possiamo spingerlo un po’, aiutarlo a salire, è quello che faremo, se Dio ci darà la forza e ci indicherà la strada”. Il capo villaggio dice allora: “Non ho parole per ringraziarvi, Dio solo potrà farlo e lo farà, dandovi tanta salute perché possiate continuare la vostra missione”.

Concludo io ricordando le due parole che si trovano all’inizio di 113 delle 114 sura  del Corano: amore e misericordia. Iniziano tutte con la stessa formula:  nel nome di Dio pienezza d’amore e di misericordia. Cerchiamo anche noi, dico, di metterle in pratica nella nostra vita e di avere un amore che si riversa su tutti, come il sole è per tutti.

Termino con una citazione di Shahrazad Houshmand, il Dio di tutti, Romena, 2019, pag. 17.

“L’acqua che nasce dalla sorgente di un fiume, poi si ramifica ecorre in mille rivoli, in alcuni punnti diventa sotterranea, inn altri riemerge e confluisc con le altre acque. Qualcuno sostiene che tutte le acque della terra siano in realtà collegate tra loro e chefa parte del loro gioco separarsi e riunirsi, scorrere e inabissarsi, evaporare e toranre sotto forma di goccia di pioggia, per abbracciarsi poi in un oceano.

‘In te sono tutte le mie sorgenti’: le rappresentazioni dell’unico Dio possono essere diverse, prendono il colore il sapore, il profumo, il ritmo delle terre dove sono nate, ma tutte parlano la stesa lingua, che è quella dell’amore. Per formare un oceano di infinito amore”.

P. Silvano Galli, Kolowaré, Togo
gennaio 2020