Carissimi,

vi scrivo da Niamey dove, penso, vivrò il prossimo Natale. Sono convinto che sarà certamente diverso da quelli passati nella parrocchia  di Makalondi durante gli otto anni trascorsi in quella missione, che sta vivendo attualmente una situazione di grande insicurezza.

È per questo che ho dovuto abbandonare la parrocchia, dopo il rapimento di p. Gigi Maccalli, e venire a risiedere a Niamey, la capitale del paese.

Domenica scorsa mi sembrava di essere ritornato, solo per qualche ora, in un villaggio della mia vecchia missione. Celebravo la Messa nel quartiere popolare di Lossogongu, a Niamey, sotto una tettoia con un centinaio di persone di cui, alcuni, del gruppo etnico gurmancé.

Una piccola corale di una decina di persone animava la celebrazione al ritmo del tam tam, che accompagnava i canti senza però riuscire a mettere in moto nessuna danza, come invece avveniva a Makalondi. A Niamey le comunità cristiane, piccole o grandi che siano, sono composte da persone che provengono da diversi Paesi dell’Africa, con culture diverse, e quindi è difficile mettere insieme un gruppo di giovani per la danza.

Tuttavia ciò che non è mancato è la preghiera per la liberazione di P. Pierluigi Maccalli che da ormai tre mesi è nelle mani dei suoi rapitori. Alla fine di ogni Messa, celebrata nelle comunità della diocesi di Niamey, questa preghiera viene recitata coralmente e, probabilmente, sarà fatta anche a Natale, a meno che, nel frattempo, p. Gigi venga liberato, come ce lo auguriamo tutti. Se così fosse sarà uno splendido Natale. La speranza non muore.

Come P. Gigi sappiamo che ci sono decine di altre persone in cattività, soprattutto donne e bambini, e ci chiediamo quale profitto ne possano trarre i così detti gruppi armati di ispirazione islamica e, chi da lontano o da vicino, li dirige.

La situazione, come scrivevo ad alcuni di voi, è confusa, anche perché ci sono molte forze militari ben armate in gioco, costituite da soldati africani ed occidentali, italiani compresi, che dovrebbero intervenire per difendere la popolazione dai continui attacchi. Siamo nel bel mezzo di una “guerra a pezzi”, come la chiama Papa Francesco, guerra che semina terrore, paura e morte e dove non si capisce bene quale conquista si vuole fare: un Paese, o una sua zona con le sue ricchezze, una guerra santa in nome di una religione, o altri scopi nascosti, ma che comunque sono macchiati da tanto sangue innocente?

In questo clima è difficile immaginare come sarà la festa di Natale a Makalondi o a Diffa, zona alla frontiera con la Nigeria: a mezzanotte non ci sarà probabilmente la solenne Messa parrocchiale. I cristiani pregheranno nelle piccole cappelle dei loro villaggi o nei cortili famigliari. Stiamo attraversando un momento di prova che ci auguriamo sia passeggero, ma siamo certi che la preghiera e la fede dei cristiani e dei catecumeni saranno alimentate grazie all’annuncio della Parola di Dio e alla testimonianza della loro vita di tanti catechisti e animatori.

Un Natale diverso, più sobrio del previsto: nelle comunità più organizzate negli anni passati questa festa continuava da Natale all’Epifania, con varie celebrazioni, danze e pranzi comunitari dove cristiani e musulmani si ritrovavano insieme.

Un Natale sobrio come lo fu alla nascita del Signore a Betlemme, ma ricco di speranza, di liberazione e di pace. Chiediamo a Dio che queste non siano  realtà passeggere.

È questo il mio augurio per noi in Niger e per voi, cari amici: Buon Natale!

P. Vito Girotto