Patrice Nganang, romanziere, poeta e saggista, è nato nel 1970 a Yaoundé, in Camerun, in una famiglia appartenente al gruppo etnico-linguistico Bamileke.
Dopo un dottorato conseguito in Germania, vive oggi a New York, dove insegna letterature comparate alla Stony Brook University.
Studioso di storia, letteratura, teatro e culture africane dell’epoca coloniale e post coloniale, si è aggiudicato il Prix Marguerite Yourcenar nel 2001 e il Grand Prix Littéraire d’Afrique Noire nel 2002.
Il suo romanzo, Mont Plaisant (66thand2nd, 2017) pubblicato in Francia nel 2011, ha ricevuto la menzione speciale al Prix des cinq continents de la francophonie.
Il romanzo fa parte di un progetto editoriale interessante, una trilogia che racconta la storia dal punto di vista dei camerunesi.
Sempre per l’editrice 66thand2nd, è stato tradotto nel 2018 il secondo volume, La stagione delle prugne, mentre in Francia è da poco uscito l’ultimo libro della trilogia, Eimprentes de crabe, L’impronte del granchio.
In un’intervista ha raccontato come è nata l’idea della trilogia, ambientata nel lungo periodo coloniale, durante il quale il Camerun è stato prima colonia tedesca, e poi – in seguito alla sconfitta della Germania – spartito tra Francia e Inghilterra.
“Nel 1884 non ero nato, quindi per descrivere la società e gli eventi di quel tempo ho dovuto studiare, effettuare un profondo lavoro di ricerca storica. E fare affidamento sulla mia immaginazione. La cosa più importante da sottolineare è che il Camerun non era una colonia francese, ma era piuttosto in qualche modo occupato dalle forze francesi, mentre in passato era stato sotto la dominazione tedesca”.
A riguardo dell’importanza della lingua, afferma:
“E’ molto importante; quando leggo sui quotidiani – quei pochi che ne parlano – articoli sulla crisi attuale del Camerun, capisco che lo scontro è anche uno scontro di lingue: inglese, francese, tedesco. Ma soprattutto delle culture legate a quelle lingue.
Questa trilogia mi ha rubato un sacco di tempo. La storia del Camerun è come la storia del mondo, così complessa. E ci è voluta tanta passione e fatica per spiegare ai lettori le radici della guerra civile che stiamo attraversando.
Quindi forse il mio futuro non è più quello di scrivere romanzi, ma di contribuire a modellare il futuro del mio popolo”.
Aspetto questo che è, secondo Chinua Achebe, la vera missione dello scrittore, fondamentale nella denuncia degli orrori del colonialismo:
“La gran virtù della finzione letteraria è la sua capacità di indurre la nostra immaginazione a viaggiare alla scoperta e all’identificazione per una strada inaspettata e istruttiva, ci aiuta ad individuare di nuovo la linea tra eroismo e codardia e lo fa forzandoci ad incontrare l’eroismo e la codardia nella nostra stessa psiche” (in Speranze e ostacoli, Jaka Book, 1998, p. 142).
Anche la scrittrice senegalese Mariama Bâ, anni prima in La fonction politique des littératures africaines écrites (1981), auspicava: “Lo scrittore africano prenda piena coscienza del suo ruolo sociale”, suggerendo la missione sacra dello scrittore.
I libri qui citati, e altri libri in lingua originale o in traduzione italiana di scrittrici e scrittori africani, li puoi trovare nella nostra Biblioteca Africana Borghero, ed avere in prestito con lo scambio inter-bibliotecario, rivolgendoti alla tua Biblioteca abituale. Vai alle pagine del nostro sito dedicate alla Biblioteca.
A cura di Maria Ludovica Piombino
Biblioteca Africana Borghero