Renato Zilio racconta la sua intensa e toccante esperienza a Fès, in occasione della sua visita a p. Matteo Revelli, missionario SMA, che si occupa della parrocchia di San Francesco di Assisi proprio in questa antica città del Marocco. Renato, attraverso p. Matteo, ha avuto l’occasione di vedere le difficoltà quotidiane dei migranti sub-sahariani, ma anche il volto di una Chiesa samaritana, grazie all’operato dell’Associazione Solidarité-Fès.

Sono atterrato finalmente a Fès. Antica capitale, città sacra dell’Islam, un milione e mezzo di abitanti, tanto fredda d’inverno quanto bollente d’estate con i suoi abituali 45 gradi.

All’uscita mi attende p. Matteo, missionario SMA, originario di Peveragno.

Senza giri di parole, mi imbarca per un’avventura: il quartiere chiamato Iraq. Il quartiere è povero, popoloso, non però indecoroso, con stabili piuttosto antiquati dove trovano alloggio circa 600 migranti subsahariani. È qui che incontro Willy, un intraprendente africano. Ha il compito (da parte di Solidarité-Fès gestita dalla parrocchia Saint François) di preparare una quarantina di colazioni calde, in stile africano, per gli emigranti subsahariani dei dintorni.

Poi ci spostiamo in un’altra parte del quartiere, dove Daniel e Monique, ormai a fine mattinata, hanno preparato il pranzo per chi passerà a metà pomeriggio: circa una quarantina di pasti caldi “take away” per migranti, al ritorno dal loro “lavoro”. Un enorme pentolone, con pollo, carote e patate, cuoce da tempo a fuoco lento. Per questi subsahariani è una vera provvidenza. Il loro “lavoro”, infatti, consiste nel restare per ore a imbottirsi di freddo ai semafori, attendendo un’eventuale elemosina dalle auto che passano. Un lavoro di resistenza e di pazienza. Il pranzo, essendo servito nel quartiere, eviterà loro di spostarsi per raggiungere la parrocchia, cosa complicata per i controlli di polizia ai senza documenti. Daniel mi mostra la lunga lista di coloro di cui ci si prende cura, annotando anche le nazionalità: Guinea, Mali, Liberia…

In fondo, eccolo il volto di una Chiesa samaritana e dei suoi attori: sostiene e si prende cura in maniera originale e quotidiana degli ultimi nel loro stesso habitat.

Nella parrocchia di Saint François, dove è parroco p. Matteo, incontro Aisha, senegalese, musulmana, studi universitari in diritto islamico, la ‘sharia’. Brillante, comunicativa, dinamica, è impegnata anche lei nella realtà dei migranti a Fès. Ovunque vada, Aisha è incollata al telefono. Risponde a chiamate, messaggi, urgenze per coperte, vestiario, cibo, medicinali o eventuali ospedalizzazioni. Per tutti cerca di essere efficace con una risposta concreta nelle quarantott’ore!

P. Matteo con alcuni migranti provenienti da vari Paesi dell’Africa sub-sahariana

Per me servire chi è nel bisogno è come essere a servizio di Dio” vi dirà apertamente questa musulmana. Mi porta a fare un “marode”, cioè una visita in vari punti strategici della città, ai semafori: ecco un gruppetto di cinque-sei maliani, poi un’equipe di camerunesi, poi ancora altri sparsi un po’ di qua, un po’ di là… Fanno la guardia ai semafori. Al rosso scattano veloci, passando rapidamente in rassegna tutte le auto, qualche raro finestrino si apre: una speranza! Tremando, esposti per ore a un freddo che non li trova protetti sufficientemente, guadagnano a fine giornata quaranta/cinquanta dirhams (4/5 euro). Altri, invece, più coraggiosi, i “balayeurs“, attrezzati di una lunga scopa, passano pulendo i marciapiedi o le entrate di condomini. Da qualche Cafè arriva qualche spicciolo, oppure lo raccolgono con la scopa, gettato dalle finestre. Riconoscenza discreta per la buona volontà dei migranti, in un servizio di utilità pubblica.

Con Aisha e altri volontari, come Sheila del Kenya, e Charles della Costa d’Avorio, si arriva, poi, nei pressi del Café Nation, soprannominato “Café des clochards,” luogo di ritrovo di migranti nei pressi della stazione ferroviaria. I due volontari di Solidarité-Fès portano due enormi contenitori con porzioni di risotto caldo. Indispensabile qui per i migranti che affronteranno una notte gelida, dormendo su cartoni, sotto un porticato aperto ai quattro venti. Sono “migranti di strada“: senza casa, senza bagagli, hanno solo le gambe per camminare. E sono qui da vari mesi. Quanti dormono qui? chiedo. “Una quarantina, solo qui” mi risponde qualcuno, con pietà.

Quelli che ho incontro all’IRAQ e alla stazione sono solo una parte, perché p. Matteo mi spiega che altri mille migranti sono sparsi in diversi quartieri più lontani della città. Una concentrazione così grande di migranti nella città si spiega con il fatto che Fès è diventata la base strategica per la loro partenza per l’Europa: infatti Fès non è lontana dalle coste del Mediterraneo dove sorgono sul suolo africano due città spagnole, Ceuta e Melilla.

Oltre ai pasti giornalieri, i migranti possono ricevere settimanalmente dei ticket da usufruire negli hammam per lavarsi. SolidaritéFès svolge poi diversi altri servizi, possibili grazie alla buona conoscenza della lingua araba di Aisha: si prende cura dei malati accompagnandoli negli ospedali, pagando le visite e i medicinali, accompagna negli uffici per svolgere le necessarie pratiche burocratiche. L’assistenza sociale si completa con l’aiuto a cercare alloggio. Non si pensi ai nostri appartamenti: si tratta di camere in affitto con servizio igienico e cucina in comune. L’arredo è nullo: materassi sul pavimento e chiodi nelle pareti come attaccapanni.

Nel pomeriggio, poi, vedo arrivare alla parrocchia, come ogni settimana, un plotone di donne subsahariane con i bambini. Saranno distribuiti quasi una cinquantina di kit di igiene, per loro necessari quanto il pane (pannoloni, shampoo…). “Alla fine, mi basta il loro sorriso per sentirmi appagata più di un grazie!” commenta Aisha.

Coperte e abiti caldi sono distribuiti, oltre che alle mamme, a tutti coloro che si presentano in questi mesi freddi.

È domenica. Le porte della chiesa sono spalancate, nonostante il gran freddo di 4 gradi, tanto qui non esiste riscaldamento. Arrivano a frotte, a decine, giovani subsahariani incappottati. In poco tempo la Chiesa St. François è quasi colma: qualche europeo, circa quattrocento studenti universitari provenienti da 30 Paesi africani e non sono tutti. Vengono da un altro mondo. Vivono qui per anni, con tutte le difficoltà di studenti stranieri cristiani in mezzo a musulmani. “La scuola è amore per il futuro” afferma don Milani. E loro preparano il futuro delle loro nazioni, diventandone, inchallah, leaders di domani.

Ed è ancora un’altra realtà che la parrocchia sostiene, accompagna e fa vivere. P. Matteo si prodiga con passione ed essi con l’entusiasmo di giovani ricambiano. Hanno messo su una corale entusiasta e potente, che fa tremare le pareti della chiesa e … il cuore dei fedeli. Hanno, infatti, il gusto naturale del canto e della polifonia. Si spendono in varie iniziative parrocchiali. Ora, è un presepio originale sotto la responsabilità di Arnaud, studente in architettura, o piccole iniziative di solidarietà. Passano i loro vestiti ai giovani migranti subsahariani, organizzano collette oppure un incontro per le mamme migranti e i loro bambini, con un regalino per ognuno. Sarà una festa per tutti! “Esperienze gradite rendono piacevole la vita, esperienze dolorose la fanno crescere” scrive De Mello. Essi conoscono entrambe.

A cadenza regolare, p. Matteo, poi, visita le prigioni locali: una presenza che dà conforto, sana profonde ferite interiori, sostiene solitudini.

Così, rileggendo la solidarietà di varie attività della parrocchia di Fès, sembra di sentire le parole di un altro Matteo: “Ero straniero, malato, prigioniero… e mi avete incontrato!

Renato
un amico in visita a Fès

 


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E 040 – Sostegno e formazione di tre operatori dell’associazione SolidaritéFès in Marocco.

P. Matteo, parroco della parrocchia di San Francesco di Assisi di Fès, è anche il responsabile dell’associazione «SolidaritéFès».

SolidaritéFès», lavora in stretto contatto con la Caritas diocesana di Rabat e si occupa dei migranti sub-sahariani che si trovano in città e che attualmente sono circa 1600.
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