Se si scandagliano le usanze di vari popoli del continente africano, si scopre il ruolo che tradizionalmente rivestono le arti tessili. Questa espressione culturale non solo racchiude una serie di simbolismi, ma rivela anche i mutamenti che avvengono a livello sociale; inoltre, essa esprime le influenze derivanti dalle contaminazioni con altri popoli, africani e non.

Ashanti_Kumasi,_GhanaA dispetto di vecchi stereotipi – che ancora purtroppo aleggiano in vari ambienti e segmenti “occidentali” – secondo cui i popoli dell’Africa hanno sempre vissuto ostentando forme di nudità, la storia del costume dimostra proprio il contrario. Abiti, tessuti particolari, forme, colori, ornamenti identificano un gruppo e l’appartenenza o meno a esso di una persona.

Ci sono abiti che hanno la funzione di tramandare le tradizioni del villaggio. Basti pensare agli Ashanti della Costa d’Avorio: per alcune cerimonie regali sono previsti specifici vestiti dalle tinte forti indossati unicamente dalle caste più alte.

Non a caso, sono proprio i colori e i disegni degli abiti a indicare l’elevato status sociale. Si può dire che le espressioni tessili narrano storie terrene, lignaggi, come pure simbolismi più orientati alla spiritualità.

Moda tra ecologia e spiritualità

Osservando l’arte tessile africana si scopre inoltre la sua “dimensione ecologica”, che si esprime attraverso tessuti totalmente naturali, creati attingendo soltanto dalle risorse offerte dalla madre terra.

È il caso della rafia, prodotto di origine vegetale, che si ricava dalla palma Raphia, pianta endemica proprio di alcune regioni dell’Africa orientale (soprattutto nel Madagascar). In genere, in Occidente la rafia è nota per essere un materiale impiegato in ambito botanico-agricolo, utile per legare piante e avvolgere innesti. In Africa, ormai da secoli, questo prodotto vegetale viene trasformato in tessuto e utilizzato per forgiare abiti anche di alto pregio.

La stilista ivoriana Angybell (il cui vero nome è Ange Amoussou) è diventata famosa in tutto il mondo grazie alle sue originali creazioni ed è stata insignita dall’Unesco per il suo lavoro con cui ha valorizzato la rafia.

Nata in Benin nel 1944, ma trasferitasi in Costa d’Avorio, Angybell è a tutti gli effetti una pioniera nell’aver introdotto nel mondo della moda capi d’abbigliamento lavorati partendo dalla rafia.

In questi decenni, la sua creatività unita alla spinta ecologica l’hanno portata a vivere una crisi personale, nata dopo aver visitato proprio quei luoghi remoti dai quali trae le materie tessili per i suoi abiti. Luoghi misconosciuti, alla frontiera con la Guinea, come Sipilou, Waraniéné, Korhogo, Bouaké, Bomizambo, Yamoussoukro.

“Quando ho visto le loro condizioni di vita, mentre noi ci pavoneggiamo ad Abidjan con i loro prodotti, mi sono detta che c’era qualcosa da fare”, ha ricordato Angybell in un’intervista ad Afrikfashion.

Per migliorare la situazione socio-economica di persone più svantaggiate, la stilista ivoriana ha creato le condizioni necessarie per aumentare le loro entrate.

Ha saputo valorizzare un tipo di rafia chiamata Ngoli, tanto che il suo costo sul mercato è triplicato raggiungendo i 18mila FCFA. Ciò permette di retribuire meglio i produttori di questo tipo di materia.

Questa spinta nel migliorare le loro condizioni socio-economiche è partita anche dalla fede di Angybell verso Dio.

Si è infatti posta questa domanda:

“Come Dio può far uscire i miei concittadini dalle loro difficili condizioni sociali?”.

Da lì è partito tutto. La profonda fede di Angybell le ha permesso di trasformare il suo modo di lavorare e di vivere, aggiungendo alle sue creazioni elementi di ecologia e di profonda devozione.

I tessuti Kuba

Spostandosi nella Repubblica Democratica del Congo troviamo i tessuti chiamati “kuba”. Anch’essi creati partendo dalla rafia, sono diffusi tra le etnie Shoowa, Bushoong, Ngeendé, Ngongo.

In passato, lo scambio di questi tessuti – all’epoca del grande Regno di Kuba (da cui deriva il nome) aveva un valore sociale: erano usati come moneta, come dono rituale e come strumento prezioso per dirimere conflitti nel villaggio o fra clan.

In alcuni tessuti kuba in velluto si può scorgere il segno “imbol”, raffigurato con un intreccio di linee che si inarcano alle estremità in due ovali. Imbol è simbolo del mediatore, ovvero l’intermediario tra gli uomini e la divinità.

La bellezza e la complessità dei tessuti del regno di Kuba hanno influenzato numerosi artisti di fama internazionale del XX secolo, tra cui Pablo Picasso, Paul Klee e Henri Matisse.

a cura di Silvia C. Turrin