L’arte ci svela non solo un linguaggio puramente estetico. Attraverso per esempio la pittura possiamo scoprire importanti narrazioni storiche. Molti dipinti ci restituiscono storie collegate al tragico periodo della schiavitù.

La storia di Ayouba Diallo

Il nome di Ayouba Diallo sarebbe sommerso dalla coltre del tempo se non fosse stato per un suo ritratto realizzato dal pittore inglese William Hoare de Bath (1707-1792). Il quadro è conservato presso la National Portrait Gallery di Londra. Ayouba Diallo viene ritratto con la tipica veste che indossava nel suo paese d’origine, il Senegal, prima di essere catturato e reso schiavo. Il quadro realizzato dal pittore de Bath ci permette di conoscere una delle tante vicende drammatiche collegate al periodo schiavistico.

Ayouba Diallo, l’uomo ritratto nel quadro, nacque in Senegal agli inizi del 1700 (la data esatta non è possibile conoscerla). Come suo padre divenne commerciante e Imam. Aveva due mogli e tre figli. La sua vita cambiò nel 1731 quando venne assalito e derubato da briganti, mentre faceva ritorno dal porto di una città senegalese. Privato dei suoi averi e dei suoi abiti di Imam, Diallo fu catturato e trasformato in schiavo. Dopo un viaggio oltreoceano spaventoso, venne fatto sbarcare nel Nord America, dove fu venduto a un latifondista. Riuscì a scappare e grazie all’aiuto di un avvocato e pastore – tale Thomas Bluett – raggiunse l’Inghilterra.

Fu a Londra che il pittore William Hoare de Bath poté ritrarlo. Tramite una sottoscrizione di molti mecenati – taluni mossi più da mire commerciali nell’Africa occidentale che non da ragioni etiche – Diallo fu ricondotto in Africa, ma ancora una volta fu catturato, questa volta da legioni francesi. Dopo quattro anni di peregrinazioni riuscì finalmente a tornare a casa e a riabbracciare la sua famiglia.

Scene di un commercio esecrabile

Oltre ai ritratti di uomini resi schiavi – un altro quadro emblematico in tal senso è quello realizzato da Gabriel Mathias (1719-1804) raffigurante William Ansah Sessarokoo – la pittura ci permette di immaginare frammenti e dettagli dell’esecrabile commercio di schiavi.

Il pittore George Morland (1763-1804), in una sua tela a olio del 1789, è riuscito a cogliere tutta la violenza con cui i componenti di una famiglia vennero brutalmente separati da negrieri bianchi: il marito da un lato e la moglie col figlio dall’altra.

Anche il noto pittore britannico William Turner (1775-1851), ritenuto precursore della corrente impressionista, denunciò tramite l’arte la tratta degli schiavi. Famoso è il suo quadro conservato presso il Museum of Fine Arts di Boston dal titolo “The Slave Ship” (Il battello negriero). In quest’opera si vede una nave nella tempesta e nelle acque si scorgono i corpi di schiavi neri in balia delle onde e di pesci famelici.

The Slave Ship

La tela di Turner si ispira al massacro della Zong avvenuto nel 1781. Tale evento è legato alla nave negriera chiamata appunto Zong, appartenente a commercianti di schiavi di Liverpool, i quali stipularono un’assicurazione sulla vita degli schiavi stessi che catturavano. Dalla nave furono gettati in mare oltre un centinaio di schiavi. Per questo i proprietari della Zong reclamarono il rimborso dalla società assicurativa, che si rifiutò di pagare considerate le circostanze. Da quell’evento nacque un acceso dibattito non solo giudiziario, ma anche politico ed etico che sfociò nello sviluppo del movimento abolizionista e nelle critiche sempre più accese verso la tratta degli schiavi africani.

(a cura di) Silvia C. Turrin

Foto: laphamsquarterly.org; wikimedia;


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