Per più di centocinquanta anni, la “nave dell’orrore” era diventata una leggenda in Alabama, negli Stati Uniti. L’ultima nave negriera ad aver trasportato degli schiavi dall’Africa negli Stati Uniti, Clotilda, è stata identificata alcuni giorni fa da un gruppo di ricercatori statunitensi, secondo quanto riferito dal New York Times. Il relitto è stato trovato a monte di un braccio fangoso del fiume Mobile, vicino alla città di Africatown, là dove era finito il viaggio dei 110 africani, uomini, donne, bambini, rapiti nel 1860 nei villaggi del Dahomey, oggi Repubblica del Benin.

“Il ritrovamento di Clotilda è una straordinaria scoperta archeologica”, ha affermato Lisa Demetropoulos Jones, direttore esecutivo dell’Alabama Historical Commission (AHC). Il viaggio della nave “rappresentò uno dei periodi più bui della storia moderna” e il relitto è “una prova tangibile della schiavitù”.

Questa scoperta consente di ripercorrere l’intero destino di Timothy Meaher, proprietario sudista di una piantagione di cotone a Mobile, e armatore di diverse imbarcazioni. In piena tensione con il Nord (che aveva dichiarato la fine della schiavitù), l’uomo si era vantato di poter sfidare il divieto federale sull’importazione di schiavi, in vigore dal 1808, scommettendo la somma di $ 1.000.

Un crimine, quello del traffico di schiavi, allora punito con la pena di morte. Erano stati 389.000 gli africani portati con la forza sul continente americano tra l’inizio del XVII secolo e il 1860.

Il capitano della goletta noleggiata per la spedizione, William Foster, non si era tirato indietro di fronte alla posta in gioco. Il viaggio di ritorno durò quarantacinque giorni, su questa veliero di 26 metri, con una struttura in legno fabbricata con quercia bianca. A bordo, i 110 uomini ricevevano solo pochi sorsi d’acqua al giorno, racconta la storica Sylviane Anna Diouf, autrice del libro “Dreams of Africa in Alabama”.

Il viaggio dell’ultima nave schiava americana è stato ben documentato. “La persona che organizzò la spedizione ne parlò. Il capitano della nave ha lasciato degli scritti sull’argomento. Quindi conosciamo la storia da diversi punti di vista”, ha dichiarato Sylviane Anna Diou al National Geographic.

Dopo aver trasferito gli schiavi su una barca fluviale di proprietà del fratello di Meaher, William Foster incendiò la sua nave e la affondò per evitare ogni denuncia. Molti schiavi furono venduti durante la risalita del fiume Mobile, e lo stesso Timothy Mayer ne trattenne per sé una sessantina, per lavorare nella sua piantagione.

Alla fine della guerra civile, quando l’abolizione della schiavitù fu estesa a tutti gli Stati Uniti, molti di questi uomini e donne speravano di tornare nella terra natale. Ma scoraggiati dal costo proibitivo del viaggio di ritorno, molti rimasero sul posto, erigendo tra il 1866 e il 1868 un proprio villaggio, ora noto come Africatown. Alcuni comprarono terra dai loro vecchi padroni.

L’ex-schiavo più famoso della Clotilda fu Kossula, ribattezzato Cujo Lewis. Lo fece conoscere al grande pubblico l’antropologa e scrittrice afroamericana Zora Neale Hurston, riportando una lunga intervista con lui nel libro “Barracoon”, che abbiamo recensito nel nostro sito.

Le foto della gallery:

  1. Il luogo del ritrovamento del relitto di Clotilda
  2. Il relitto di Clotilda, in una foto dell’Historic Sketches of the South presa da Emma Langdon Roche nel 1914
  3. Ricostruzione della goletta fatta da National Geographic
  4. Litografia del ponte di una nave negriera
  5. Litografia della stiva di una nave negriera, con il suo carico umano
  6. Il capitano Timothy Meaher, armatore di Clotilda
  7. La sua tomba in Alabama
  8. Cujo Lewis, trasportato da Clotilda, e fotografato da Zora Hurston
  9. Ritratto con due nipoti