Il 28 novembre corso il Consiglio comunale della cittadina veneta di Schio ha votato e approvato all’unanimità un documento che conferisce la cittadinanza onoraria a santa Giuseppina Bakhita.
Sant Bakhita era la schiava sudanese emancipata dal console italiano a Khartoum e giunta in Italia, immigrata ante litteram, nel 1884. E in Italia è divenuta suora, nell’Ordine delle Canossiane.
Quest’anno di Bakhita ricorrono i 70 anni dalla morte, avvenuta appunto a Schio l’8 febbraio del 1947. Il sindaco Valter Orsi, nel conferirle la cittadinanza onoraria ha affermato: «È un privilegio per la nostra Città annoverare fra gli scledensi questa donna che tanto ha dato alla nostra comunità, e tanto sta insegnando ancora oggi con il suo ricordo e i suoi valori, in tal modo interpretando anche i sentimenti dell’intera nostra collettività».
È un fatto, del resto, che in tutto il mondo Bakhita sia riconosciuta come ‘la santa di Schio’. E si tratta di una fama in crescita esponenziale. In Europa, in Africa e in Sudamerica (aree soggette a imponenti fenomeni migratori e sociali) si stanno moltiplicando le chiese intitolate alla santa, le iniziative e le associazioni che portano il suo nome.
Bakhita è stata canonizzata nel 2000 da Giovanni Paolo II in una piazza San Pietro gremita. Già nel ’92, nel giorno in cui venne beatificata insieme a Escrivá de Balaguer, il Papa l’aveva definita «Sorella universale». E nei fatti questa schiava africana, convertita al cattolicesimo e naturalizzata italiana si sta davvero mostrando al mondo come «sorella universale», capace di essere amica e compagna di strada di tutti perché nella sua umiltà vicina a ognuno: il bianco italiano che ne ammira l’umiltà e la capacità di identificarsi nella Parola, il nero africano che a lei si affida per trovare anch’egli una degna collocazione nel mondo.
Nera come lo sono i sudanesi del Darfur, si è così integrata nella società veneta da parlare in veneto e con perfetto accento, al punto di riferirsi a Dio sempre col colloquiale appellativo di ‘el Paron’.
Lei, che non sapeva scrivere e a mala pena leggeva, era diventata, in vita, un punto di riferimento per tutta la comunità locale, fin dai giorni in cui durante la Grande Guerra, nell’ospedale da campo allestito a Schio, assisteva i nostri soldati e raccoglieva le confidenze dei morenti. Le donne si confidavano con lei, gli uomini accettavano i suoi consigli, i sacerdoti non disdegnavano di imparare alla scuola della sua umiltà. Per tantissimi averla incontrata è stato l’inizio di una vita nuova.
E se Bakhita è stata tutto questo e oggi può essere considerata a buon titolo un ponte, attraverso il Mediterraneo, fra Nord e Sud del mondo lo si deve alla sua disponibilità di fronte alla grazia di Dio, ma anche alla capacità dell’Italia e di Schio in particolare di averla accolta facendone una di noi. Bakhita è in qualche modo la dimostrazione che questo Paese è capace di integrare chi viene da fuori ed è capace di assimilarlo alla propria cultura ricevendone in cambi dei benefici.
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